lunedì 10 aprile 2017

TRAMUTOLA









REMO ORIOLO











TRAMUTOLA




NEI MOTI
RISORGIMENTALI E
PRE – RISORGIMENTALI






PREFAZIONE

TRAMUTOLA NEI MOTI RISORGIMENTALI E PRE RISORGIMENTALI – PRIMI SINTOMI DI RISVEGLIO SOCIO-ECONOMICO  - PATRIOTTICO.

Durante la Rivoluzione Francese, anche da noi si ebbero i primi sintomi del risveglio, dietro la spinta di quei fermenti di libertà e di uguaglianza che dalla Francia divamparono nel mondo. Viva infatti era la lotta accanita che la famiglia Favella[1] conduceva contro il potere feudale esercitato dal Barone di Tramutola. Come è noto Tramutola era un piccolo feudo dell’Abate del Sacro Monastero di Badia di Cava dei Tirreni (Sa); ad esercitare tale potere, non sempre in modo onesto, era il Vicario Abbaziale che risiedeva quasi stabilmente in Tramutola.
Nell’anno 1797 vi fu un grave tumulto popolare contro l’Abate, e il Vicario venne addirittura bastonato: Causa di quella sommossa fu lo ius proibendi di cuocere il pane nei forni privati, quando quasi in tutto il Regno di Napoli si proibiva i baroni di esercitare tale iusso sui cittadini di obbligarli a cuocere il pane ed altro nei forni e mulini baronali.
I capi di quella sommossa furono arrestati dai Fucilieri di Montagna mandati a Tramutola dalla Regia Udienza di Matera.
Venne il 1799 e il Borbone fuggì in Sicilia e nel Regno si proclamò la Repubblica, ed ecco subito i Tramutolesi piantare l’Albero della Libertà dando così una scossa al potere baronale.  Non appena incominciò a prendere corpo la sanguinosa reazione “Sanfedista” l’altra parte politica si affrettò ad abbattere l’albero inscenando una processione di sera con le statue dei Santi Protettori di Tramutola.
Alcuni Tramutolesi furono processati per questi reati, ma la vera svolta si ebbe nel 1806, quando si segnò l’inizio della fine della storia feudale del Regno di Napoli e delle due Sicilie.
Con l’avvento dei francesi nel 1806, i martiri della Repubblica Partenopea sorsero per indicare ai nuovi il seme del nuovo ordine di tempi e di cose che finalmente segnarono la fine del potere feudale ed anche di quello temporale dei privilegi ecclesiastici che il numeroso clero ne beneficiava (decennio Francese).
Anche in Tramutola fu notevole la trasformazione socio-econimica-politica e fu diviso il patrimonio feudale ed anche quello dei suffeudi di Ferrara, Brussone-De Muria, Marino e anche quello ecclesiastico fu diviso in tante piccole proprietà.
Per quanto riguarda la parte politica nulla di particolare è da notare, in quanto il potere era esercitato da quelle poche famiglie che, ad ogni cambiamento politico, sostituivano alcune persone alla guida amministrativa con altre, appartenenti alle stesse famiglie.
Comunque la macchina burocratica seguiva il passo dei tempi, e si diede vita al nuovo catasto detto “Murattiano”.
La restaurazione della monarchia borbonica avvenne senza destare reazioni degne di rilievo, ma lo spirito di libertà che animava alcuni Tramutolesi non si è mai assopito: anche nei moti Costituzionali e Carbonari del 1820/21 si vide la partecipazione di alcuni di loro. Se poi vi è stata una breve stasi di fervore polito ma non in quello economico in quanto forte è stata, nella nostra comunità la presenza della classe artigiana, di quella mercantile, bracciale e professionistica che hanno contribuito al benessere del paese (vedi coltivazione e commercializzazione del lino, della canapa, dell’uva e del formaggio, lana, grano e quant’altro).
Attraverso il contatto degli studenti che frequentavano gli studi a Salerno e a Napoli, si seguiva l’andamento politico del Regno di Napoli e di Sicilia. Venne il 1848 ed a gran voce si gridò per ottenere un Governo costituzionale; i Tramutolesi non furono estranei a quel coro tanto che, alcuni di loro subirono processi e vennero segnalati nei quaderni degli “attendisti” politici dalle autorità di polizia e sottoposti a sorveglianza.
Poi venne il 1860 e molti di loro parteciparono ai moti che videro il culmine del Risorgimento seguendo Garibaldi sul Volturno dove si compì la prima parte dell’unificazione italiana, liberando tutto il meridione dalla Monarchia dei Borbone.
Dopo questa grande impresa, per l’unificazione italiana, come al solito niente di rilievo è accaduto a Tramutola e,  anche il brigantaggio o reazione post-risorgimentale dei Borboni, appena ha sfiorato il nostro paese con qualche episodio di brigantaggio o da un episodio, narrato da padre in figlio che non trova riscontro nelle carte, cioè all’indomani dei fatti del 18 agosto del 1860, il Capo Urbano di Tramutola fu trascinato in piazza a giurare fedeltà a Vittorio Emanuele Re d’Italia sotto pena di aver incendiata la casa.
Si cercò di dare un assetto urbanistico più decente al paese con l’allargamento della piazza, la ricostruzione del caseggiato distrutto dal terremoto del 1857, la risoluzione dell’annosa questione dei mulini e la costruzione della strada che univa il paese a quella di Brienza-Montemurro ed anche la strada che apriva il paese al Vallo di Diano: la Tramutola – Padula. Importante fu la lotta condotta contro il Comune di Marsico per ottenere l’allargamento dei confini dove si vide la partecipazione di tutte quelle forze morali ed intellettuali profuse per il raggiungimento dello scopo che alla fine risultò vittorioso.
Dal lato religioso, Tramutola non ha mai perso la fede cattolica ancorata all’amore verso la Vergine Santissima che un giorno del 1853 onorò Tramutola della sua presenza con dei fatti prodigiosi che per questi fu chiamata Madonna dei Miracoli.

 

Note dell’autore



 Prima di passare ad esporre i fatti storici risorgimentali accaduti in Tramutola  che sono oggetto di questo nostro modesto lavoro, desideriamo ringraziare coloro i quali hanno voluto dare un contributo di collaborazione, tra questi: La Biblioteca Comunale di Tramutola, l’Ufficio dello Stato Civile, ed in particolare il Sig. Sindaco B. Salera; Come pure l’ASPZ e le Biblioteche di Potenza e quella di Altamura.
Soprattutto, desideriamo far conoscere i fatti dei Nostri Maggiori.
 L’amore Patrio è naturale virtù, conoscere la propria storia è sacro dovere di ogni cittadino.
Nel contempo si avverte che le notizie storiche che seguiranno nei prossimi capitoli sono state precedentemente pubblicate qua e là, ma ora sono state raccolte nella presente con l’aggiunta di note esplicative e surrogate da documenti reperiti presso vari archivi.
Dopo queste considerazioni, riportiamo in primis alcune notizie storiche di Tramutola stilate da due nostri illustri concittadini.
La prima è scritta in un modo preciso e ricca di particolari antropologici che ne denota la professionalità tecnica, del resto il compilatore è stato il Sig. quondam Ing. Saverio Marrano.
Le altre notizie storiche scritte in modo colorito sono tratte da un articolo giornalistico pubblicato nell’anno 1948 “sul Corriere di Lucania” dal titolo: Suggestivi Paesi Lucani – Tramutola o “Napulicchio”. La firma è del nostro concittadino Sig. Dott. Pino Giani che vive attualmente a Roma[2].


Saverio MARRANO – Notizie su Tramutola – Ottobre 1997 ( Si riportano solo alcuni capitoli del manoscritto. I numeri dei titoli si riferiscono ai capitoli del manoscritto).

  2.2. Tramutola nei Secoli

Tramutola è un piccolo paese, sito a quota di circa 650 m.l.m. in una ridente conca delimitata da monti boscati (Ponticello, Aquila, Pianelle, Armata, Fascitiello), con una popolazione residente di 3.500 abitanti.
Anticamente e fino all’anno 1.100, il paese era ubicato in una valletta ove sorge una sorgente a carattere intermittente detta appunto “Acqua Tramutola” (ovvero acqua che si tramuta), compresa fra il Monticello e San Giuliano.
A partire dall’anno 1.130 il paese si spostò ove è attualmente, nei pressi della Cappella di San Pietro (ora distrutta) e delle attuali Chiesa Madre e Chiesa del Rosario, ove sorse la nuova Tramutola, nei pressi della sorgente Capo d’Acqua.
Il nome Tramutola deriva, a mio avviso, dalla intermittenza della sorgente che si tramuta, compare e scompare a periodi variabili ed incostanti negli anni.
Il nuovo centro sorse sotto il patrocinio degli Abati Benedettini di Cava dei Tirreni, che avevano ricevuto in donazione il feudo di Tramutola; essi si adoperarono affinché il paese si sviluppasse, costruirono nei pressi della Chiesa un Monastero, divenuto poi anche sede abbaziale, bonificarono i terreni circostanti, rimboschirono le pendici montane e promossero le culture agricole.
Fu introdotta pure la coltura del gelso e l’allevamento dei bachi da seta. Vennero costruite altre chiese e palazzi, molti ormai distrutti dai terremoti.
2.3. Le attività e le risorse
L’economia tramutolese si è basata per secoli sull’agricoltura, ed in particolare:
° colture cerealicole di frumento, segala, orzo, avena e miglio;
° colture di lino e canapa e successivamente lavorazione a telaio, per ricavarne tessuti;
° colture arboree di castagni, cerri, querce e gelsi;
° allevamento di bachi da seta, utilizzanti le foglie di gelso e vendita dei bozzoli alle filande;
° allevamento delle api, di polli, bovini, suini ed ovini, per ricavarne carne, latte e derivati, grassi, insaccati e lana;
° coltivazione di patate, mais, pomodori e melanzane, introdotte dall’America verso il 1750 – 1800.
Risorse naturali, da sempre note, sono le acque sorgive e fluenti, utilizzate per servizi potabili, irrigui ed industriali (azionamento dei molini, magli per battere il rame e gualchiere per la lavorazione della lana, canapa e lino). In agro di Tramutola vi è la sorgente Capo Cavolo, che è la più grande della Basilicata, con una portata minima di 810 lt/sec., che alimenta un acquedotto potabile per Tramutola, una centrale idroelettrica dell’ENEL ed un esteso impianto irriguo a servizio degli agri di Tramutola e Viaggiano.
E’ stata pure progettata una diga, a monte della centrale ENEL; le acque invasate sono destinate alla irrigazione e alla integrazione idrica della zona industriale di Viaggiano.
Un’altra risorsa, strategica, di Tramutola e paesi viciniori, è costituita da giacimenti notevoli di idrocarburi (greggio per le raffinerie e gas metano per gli usi domestici, industriali e autotrazione). Le prime ricerche minerarie furono effettuate in Tramutola nel 1911; sospese per anni, furono poi riprese nel 1934 dall’AGIP Mineraria, con esito positivo e durarono fino al 1944; l’utilizzo del metano per l’autotrazione fu provvidenziale durante la 2° guerra mondiale. Attualmente sono in corso, in tutta l’Alta Val D’Agri, ulteriori ricerche e sfruttamenti; il metano verrà adoperato localmente in impianti di cogenerazione e il greggio viene addotto alla raffineria di Taranto, in attesa dell’oleodotto.

2.4. Gli antichi abitanti
I primi abitanti della zona, nel periodo neolitico, furono gli Enotri; erano dediti all’agricoltura e caccia e vivevano in capanne di legno coperta da terra e frasche; commerciavano con i Fenici.
Vi erano inoltre, nelle valli dell’Agri e del Sinni, i Corri, che seppellivano i morti distesi.
Nel secolo 8° A.C. vennero i Greci, provenienti dall’Asia Minore e dalle isole, che si inserirono fra gli Enotri e i Corri. In Val D’Agri i Greci giungevano risalendo il fiume con le loro barche. I greci portarono innovazioni culturali e sociali; introdussero l’uso delle tegole di Argilla per i tetti. La civiltà greca durò tre secoli.
I Lucani giunsero nel territorio sul finire del 5° secolo A.C., provenienti dal Nord, dal Sannio e dall’Irpinia.
Nel 300 A.C. vennero i romani (ai quali invano si contrapposero i Lucani) e si insediarono a Grumentum, che divenne presto un attivo centro urbano.
I Lucani, forti e laboriosi, erano simili agli Svevi; curavano l’agricoltura, le arti e la guerra; erano buoni cacciatori; il loro pasto era costituito da poco frumento e molta carne e latte. Tenevano per sacro l’estrarre il vino dalle uve ed in grande considerazione le fruttifere campagne e coltivavano anche l’ulivo e il fico. Plinio loda gli indigeni tori che i lucani, appena domati aggiogavano. Armenti e greggi, dalle frescure dei nostri monti boscati, passavano a svernare nelle marine; questa usanza è continuata per secoli fino ai nostri giorni: i proprietari di Moliterno portavano a Poliporo i loro bovini, a svernare. Si commerciavano i cereali, il vino e i prodotti caseari; fiorenti erano le industrie suinicole. Il suino era il loro principale sostentamento. Le nostre contrade fornivano l’antica Roma di carni salate, dette succidia; si preparava la gustosa insucia (salciccia), che prese il nome di “lucanica” ed è tuttora molto apprezzata.
Il lino e la lana suppliva alla seta nelle classi meno abbienti; filare e tessere era una incombenza usuale della donna umbro – latina, morigerata e massaia.
I lucani colsero il fiore della Magna Grecia, specie nella ceramica: i vasi lucani erano distinti per forma, bizzarria di anse, verniciate in nero e con affollate figure in rosso vistoso; nelle tombe se ne trovano a profusione.
Giovani e gagliardi schiere, i Lucani si allargarono dappertutto conquistando. Signori di Petilia, si spinsero fino a Reggio, a Locri e al canale di Sicilia. Agili e svelti li dichiarò la storia, impazienti di freno, strenui e disciplinati in battaglia, dai pomposi vestiti di tunica corta, dagli elmi a tre grandi piume, i bersaglieri del tempo, dalle aste ornate di banderuole, dagli scudi di vimini intrecciati, difesi da duri cuoi, ardenti di libertà e di amor proprio, frugali, giusti, ospitali.

2.7. Fatti notevoli accaduti

Accenno soltanto a questi:
1)                                             Spostamento del centro abitato dalla zona Acqua di Tramutola a quella attuale, nel 1301.
2)                                             Nel 1326 Tramutola fu invasa e saccheggiata dagli abitanti di Grumento Nova, senza ragionevoli motivi e privata di scorte, masserizie e animali, bovini, equini e suini. Il fatto viene ricordato come il: “Sacco di Tramutola”.
3)                                             Epidemia di peste nell’anno 1665, come già detto.
4)                                             Terremoto distruttivo avvenuto nel 1783.
5)                                             Miracolo della Madonna, avvenuto il 17 Maggio 1853. Poiché vi era in atto una forte siccità, con danni notevoli alle culture, a seguito delle preghiere dei tramutolesi, la statua della Madonna fu interessata dalla fuoruscita di una fiammella dal petto; si ebbe inoltre una pioggia lieve, ma persistente che salvò la situazione. La Madonna fu poi incoronata solennemente il 17.05.1923 come Regina dei Miracoli; da allora ogni anno in tale data si festeggia la ricorrenza, con una processione ed una festa.
6)                                             Terremoto del 17.12.1857, che produsse a Tramutola circa 180 vittime ed enormi danni ai fabbricati.
7)                                             Proclamazione dell’Unità d’Italia il 13 agosto 1860, organizzata dal dott. Giliberti in casa del Conte Favella.
8)                                             Il brigantaggio, sviluppatosi nella zona durante il decennio 1860|70.

                                                                                    Saverio Marrano
























01.09.1948 Da “Il Corriere della Lucania”.
Suggestivi paesi Lucani.
Tramutola – o “Napulicchio” –

Adagiato tra lussureggianti boschi di castagni, in posizione pittorescamente suggestiva, si stende l’abitato di un grazioso paesetto lucano che, che per il suo ridente aspetto, per la vivacità, la canorità la cordialità degli abitanti, è conosciuto, oltre che col nome di Tramutola, anche con quello di “Napulicchio”, ossia Napoli in miniatura, piccola Napoli.
Il paragone può sembrare esagerato, se non addirittura ridicolo, a chi non avendo visitato, specie in estate, questo ridente borgo, conosce soltanto in generale i paesi della nostra Regione e non ha avuto agio di notare la sensibilissima, sorprendente affinità esistente tra le tendenze, gli usi, le caratteristiche degli abitanti di Tramutola e le corrispondenti peculiarità del popolo partenopeo.
La particolare vivacità dell’intelletto, la giocondità del carattere, lo spiccato, caldissimo senso dell’ospitalità, la accentuata tendenza all’armonia, alla musica, al canto, ne sono i punti di contatto meglio riconoscibili. E quello innato senso dell’humor, della benevole mordacità, della piacevole e amichevole satira, che tanto distingue i Tramutolesi specie nei paesi del Circondario, non rappresenta ancora una particolare somiglianza psico-morale con gli amabilmente chiassosi Napoletani?
Molti sono i forestieri che, venuti qui per ragioni di lavoro, vi sono rimasti stabilendovi in permanenza la loro dimora, proprio attratti dalla giocondità del luogo e dall’ospitale carattere degli abitanti.
Si può dire che non vi è giovane che non abbia poi una voce gradevolmente intonata, mentre molti sono quelli che conoscono l’uso dei più noti strumenti musicali, senza dire dei veri artisti dell’armonia quali l’impareggiabile, finissimo mandolinista cav. Antonio De Marca, l’appassionato chitarrista Aurelio Ciorciari ed altri ancora.
Particolare degno di rilievo per la sua originalità che sta ad indicare oltre che il napoletano spirito giocondo dei tramutolesi anche la loro innata, e non meno napoletana tendenza alla musica è rappresentato poi dalla esistenza di una banda a fiato, con relativo maestro, veramente unica nel genere, costituita da affiatatissimi ragazzi del luogo.
Una sera la “banda” suonava uno dei “pezzi” forti per la strada che conduce al Convento, tra il divertito interesse di numerosi cittadini, quando un gruppo di forestieri, di transito sulla via, si fermò per ascoltare l’armoniosa, riuscitissima esecuzione. Finito il pezzo, i forestieri applaudirono abbondantemente e chiesero, curiosi ai suonatori di mostrare gli strumenti nei quali soffiavano, ma tra la indescrivibile loro meraviglia, i musicisti dichiararono di non poter mostrare nulla in quanto non si servivano che del fiato dei polmoni magistralmente modulato tra le labbra, dopo mesi e mesi di esercitazioni e concerti, riuscendo così, senza l’ausilio di mezzi metallici, a rendere alla perfezione il suono della cornetta, del clarino, dell’oboe, dell’ocarina, del bombardino e del trombone.
Una volta la filodrammatica locale, diretta dall’inesauribile dott. Terzella, presentò addirittura sul palco del teatro, in una riuscita rivista, proprio un “numero” formato dalla originalissima “banda a fiato” che riscosse prolungati applausi per le veramente straordinarie esecuzioni musicali.
Il dialetto tramutolese poi ha nelle inflessioni fonetiche, nelle sue vivaci espressioni, caratteristiche molto affini al dialetto campano. In esso infatti, eccezion fatta per la “l” indurita, in alcune parole in “d” (caratteristica questa che però va scomparendo) non si riscontra alcunché che ne ricordi l’origine lucana ed è davvero strana questa particolarità data la comune, anche se varia, intonazione fonetica, tipicamente lucana, che si rileva dei dialetti dei paesi anche più vicini.
Giunto a questo punto il lettore che non conosceva Tramutola si sarà così reso conto che il nomignolo di “Napulicchio” è quanto mai adatto a questo lieto paesello. Osserverà però che pur esistendo una notevole affinità spirituale, manca anche  la minima  di quelle caratteristiche naturali che fanno della bella Napoli una delle città più affascinanti. Dov’è il Vesuvio? Dov’è il mare? Ebbene, il mare c’è, anche qui a Tramutola, un mare silvestre, splendente, sereno, tranquillo, un mare di prati e di verzure ove è tanto riposante, tanto dolce posare gli sguardi e sognar.
                                                                                     Giuseppe Giani

                                                           




















TRAMUTOLA
BREVI CENNI STORICI[3]

        Tramutola è un comune situato nel cuore della Val D’Agri, posto a Sud dell’antico “vallo di Marsico”, area interna della Basilicata. E’ stato ed è un paese ricco di movimenti politici.
La sua economia è a prevalenza artigianale, mercantile, agricola e zootecnica.
Sorge alle falde della catena montuosa che divide la Valle del Diano dalla Valle dell’Agri; tale catena di montagne e colline fa parte dell’Appennino Napoletano. In seguito ad una sella non troppo elevata che facilita la comunicazione dei due bacini, si scende nella valletta ricca di acque, da tempo immemorabile chiamata valle Tramutola.
I monti che circondano Tramutola conservano, tra altri antichi nomi: Farnete, Castelli, Manca, Chianelle e Monticello.
Tra le Chianelle e il Monticello vi sono due piccole alture denominate “Raja e Raja Rotonda” che nascondono il paese alla valle.
Il Paese non conserva tracce di mura merlate, porte di accesso, torri di difesa e guardiole di corpi di guardia. Questo fatto può così essere interpretato: la sua configurazione geografica ha sempre rappresentato una sorta di fortificazione naturale, e per questo non si è mai ritenuto opportuno costruire un sistema di difesa. Unica eccezione è rappresentata da resti di antiche mura che ancora si possono vedere in località Castelli; evidentemente lì sorgeva un castello forse di epoca pre normanna – o addirittura pelasgica- che controllava il transito delle persone e delle merci da una valle all’altra.[4]
Il significato etimologico del toponimo Tramutola ha generato dispute tra dottissimi studiosi: il Racioppi, il Gatta, il Gattini, il Giustiniani, l’Antonini, il Ramaglia, il Caputi, il Mattei-Cerasoli, il Pecci, il La Padula, il Bonsera ed altri.
Alcuni sostengono che il toponimo derivi dalla terra paludosa che motola a causa della intermittenza delle acque che sgorgano nella zona detta “acquara”  o “acqua Tramutola”, zona esistente vicino all’attuale paese.
Altri invece, congetturano che derivi da “tramite”, piccolo passaggio. Infatti quando nei tempi antichi si sceglievano i luoghi strategici e si custodivano i passaggi da valle a valle, dovette lì sorgere se non una cittadina, almeno una fortezza, posta appunto a guardia della via o tratturo (da ciò deriva il nome del promontorio detto “Castelli”.
In alcuni atti notarili del XII secolo la zona è denominata Valle Tramutola” e che concorda con l’ipotesi formulata dal Mattei-Cerasoli secondo il quale Tramutola deriva da Trames, transito, tramite, piccolo passaggio.
Poco discosto da detto luogo vi è un altro sito denominato “Casamasone”; tale toponimo fa supporre che lì era esistente una grande casa atta a rifocillare i viandanti, una taverna, fornita anche di stalle per il cambio dei cavalli mutaziones.
Il Caputi ci dice che “casamasone” è metatesi di mansiones, e di tappa, di strada, albergo, casa.
Da detto luogo si dipartivano vari “tratturi” che portavano nella Valle dell’Agri, a Vertina o Vestina, a Potentia, a Venosa etc.[5]; altro in direzione di Grumentum indi ad Armento, a Metaponto, Eraclea, Sibari etc. nonché l’intersecazione delle due strade: la Popilia Aquilia e l’Erculeia[6].
Secondo il mio modesto parere, la vera origine di Tramutola è custodita tra i resti delle mura dell’antichissimo castello posto in cima al monte che sovrasta l’attuale cittadina. Questo era un castello fortificato munito di torre di guardia ed era alle dipendenze della città di Grumentum; serviva a controllare il transito delle merci, degli animali, delle persone, ma soprattutto costituiva una vedetta per controllare i capi tribù dei Marsi, i quali, venuti dal lontano Sannio nella nostra valle, vi avevano fondato delle città Vertina ed altri insediamenti. Durante gli scavi delle condotte petrolifere eseguite di recente, sono affiorati tombe, ville e quant’altro. Si attende una pubblicazione da parte degli organi archeologici competenti per fare luce di quanto esposto.
Poco distante, verso mezzogiorno, al di là della piccola sella detta “Santa Palomba”, vi è un’altra località denominata “Acquara o Acqua Tramutola”. Questo toponimo ha tratto in inganno alcuni studiosi che, rifacendosi alla zona paludosa, alle acque intermittenti e al terreno che “motola”, per sovrapposizione delle parole si è arrivato al toponimo Tra-mo-to-la. Vero è che sempre si è detto Vallo (di) Tramutola, Acqua (di) Tramutola; la prima sotto il Castello, la seconda che scende dal Castello e quindi dalla grande casa dove si tramutavano e si riposavano gli uomini e le varie bestie da soma, quindi per metatesi: Tra-mu-to-lo – Tra-mu-to-la.
La tradizione, avvalorata da alcuni documenti già pubblicati da vari autori (Racioppi, La Padula, Bonsera e altri), ci tramanda la storia che nella località Acquara, esisteva un pagus di Grumentum che in epoca medievale divenne feudo di Tramutola Vecchio. Questo insediamento era costituito da masserie: esse servivano da ricovero e da custodia degli armenti dei contadini addetti alla lavorazione dei campi, non certamente costituiva il paese di Tramutola.
In una memoria di alcuni giuristi del secolo XVIII è narrato il fatto che Tramutola Vecchio fu disabitato a causa dell’invasione di “formigoni” e gli abitanti del castello furono scacciati dall’invasione di numerosi “serpenti”.[7] Il centro antico dell’attuale Tramutola conserva ancora la sua originaria conformazione urbanistica sviluppatasi nell’arco di circa 800 anni.
Negli ultimi decenni, l’attività edilizia si è molto sviluppata, soprattutto grazie alle numerose rimesse monetarie degli emigranti. Tale sviluppo urbanistico si è esteso verso l’antico “Vallo di Marsico” in direzione Nord-Ovest.
Molto attiva e solerte è stata l’opera delle varie Amministrazioni Comunali che si sono succedute alla guida del Paese: hanno provveduto alla sistemazione delle strade interne, alla sistemazione della rete idrica e fognaria, all’illuminazione pubblica, all’allestimento dei giardini e della villetta Comunale, fiore all’occhiello di Tramutola.
Tramutola, per la sua felice posizione geografica, rappresenta un punto di riferimento per il turismo della Val D’Agri grazie, oltre al verde dei boschi di castagni che la circondano, soprattutto allo sviluppo delle attività ricreative sorte  in aree paesaggistiche di grande suggestione, ricche di boschi in uno di questi si è costruito il centro sportivo polivalente dotato di piscine con ristoranti e pizzerie. Il campo sportivo è in via di ultimazione, servirà ad incentivare le attività sportive.
È collegata con comode strade con i vicini scavi archeologici di Grumentum, il lago del Pertusillo, le piste da sci del Monte di Viggiano e del Monte Volturino.
E’ posto a 650 m.s.m., con una popolazione stabilizzata di circa 3600 abitanti. Ha una superficie di circa 4343 ettari.
Il suo sviluppo demografico ha seguito l’evoluzione storica dei tempi. Nel 1277 è tassato per 25 fuochi, (circa 150 abitanti); nel 1500 è tassato per 911 fuochi, (oltre 5000 abitanti); ai principi del 1600 si ha pressappoco lo stesso numero; nel 1669 per fuochi 445 diminuzione dovuta alla peste del 1656; nel 1737 è tassato per 376 fuochi.
All’epoca del Catasto Onciario voluto da Carlo di Borbone arriva ad una popolazione di oltre 3200 abitanti; nei primi decenni del 1800 oltrepassa i 4000 abitanti; dopo l’unificazione d’Italia, in conseguenza della massiccia immigrazione nelle Americhe, si attestò a circa 3600-3900 abitanti.
La storia di Tramutola è stata sempre legata a quella della Badia di Cava dei Tirreni, il suo abate ha esercitato sul paese e sugli abitanti sia la giurisdizione civile, questa fino al 1860, sia quella episcopale. Attualmente, per effetto delle ultime riforme delle circoscrizioni diocesane, è aggregata alla Diocesi di Potenza e Marsico.
Secondo fonti storiche cavense, Tramutola è stata fondata dai monaci benedettini della Badia di Cava dei Tirreni all’incirca nella metà del XII secolo.
La sua nascita è diretta conseguenza della penetrazione dei benedettini nel meridione d’Italia. Questi monaci, favoriti dalla politica normanna e spinti dal loro fervore religioso, riuscirono ad impossessarsi dei monasteri di rito greco.
Il luogo scelto per la fondazione del paese certamente era noto ai monaci benedettini che, per andare nelle Puglie e nelle Calabrie Ioniche, transitavano per il “tratturo” che, scendendo da Montesano e costeggiando l’antico castello, lambivano la valletta ricca di armenti e di acque fluenti da una naturale sorgente. Lì vi era una chiesetta amministrata da un prete, e i monaci vollero adeguarla a luogo di ristoro per chi vi transitava: essa costituiva un punto d’incontro anche per quelli che percorrevano la direttrice Atena-Brienza-Marsico.
A tale scopo si attivò un monaco di nome Giovanni, forse parente di Silvestro conte di Marsico feudatario della Contea stessa. Giovanni si fece donare la valletta, poi detta Pantane, con l’annessa chiesetta dedicata all’Apostolo Pietro con la giurisdizione sui pochi nativi che ivi dimoravano.[8]
Propagatosi la notizia dell’insediamento dei benedettini nella valletta, i vassalli del vecchio feudo di Tramutola, situato al di là del Monticello verso l’antica città di Grumentum, vi accorsero per mettersi sotto la loro protezione. Nel vecchio feudo, infatti, essi erano non solo angariati dai Grumentini, ma erano altresì terrorizzati dalle orde Saracene che, una volta al soldo dei Normanni, altra volta al soldo dei Greci, risalendo il corso dell’Agri, depredavano i paesi della valle commettendo stupri, saccheggi e ruberie di ogni genere.
Alle prime donazioni se ne aggiunsero altre e sopra la sorgente del fiumiciattolo di nome Bussentino, si formò il primo nucleo abitato della nuova Tramutola; si costruì il primo mulino e nacquero i primi agglomerati urbani denominati Casale, Collata, Vallicella, Crocevia. Nel 1162 la nuova chiesa con annesso Monastero era già in parte costruita, alla loro consacrazione fu invitato quel monaco Giovanni che nel frattempo era diventato vescovo di Marsico.
Prese così corpo il piccolo feudo della terra di Tramutola.
Sotto l’amorevole e sapiente guida dei benedettini, il paese crebbe urbanisticamente, prosperando nei commerci, nelle arti e nei mestieri, migliorando le colture delle terre con giuste bonifiche, impiantando molti vigneti, gelsi per la produzione della seta, ma soprattutto si curò la piantagione delle piante di lino, per cui Tramutola  era rinomata.
Essendo dipendente dalla Badia di Cava dei Tirreni, Tramutola ha sempre seguito le vicende storiche che si sono succedute nel Regno in cui l’Abbazia è stata coinvolta.
Dopo le donazioni dei Conti Normanni che favorirono la fondazione dell’attuale Tramutola, seguì il periodo degli Svevi con Federico II, la benevolenza di tale imperatore verso il Sacro Monastero Cavense contribuì notevolmente all’espansione dei monaci cavensi nel Meridione d’Italia. L’Imperatore, ricordando che era stato protetto dai suoi progenitori e considerando la vita lodevole dei monaci e la loro fedeltà al Re, prese sotto la sua protezione il Sacro Monastero e tutti i suoi casali (fra i quali Tramutola); riconfermò tutti gli antichi privilegi, e dispensò i vassalli dai tributi o servigi dovuti al feudatario per tutto il Regno. Tale dispensa non ebbe valore sulle tasse universali.
Morto Federico II, l’Italia meridionale divenne un campo di battaglia. I partigiani di Manfredi, poi quelli di Corradino, indussero il Papa Urbano IV a chiamare in suo soccorso Carlo D’Angiò per proclamarlo Re di Sicilia. Si ricordi infatti che il Papa ha sempre accampato il diritto feudale sul Regno di Napoli e dell’Italia tutta.
Gli Angioini, cavalieri e predoni, con il consolidarsi della loro potenza si impossessarono dei feudi di Badia di Cava e i monaci cavesi, avendo parteggiato per i discendenti di Federico II, subirono le loro angherie.
Tramutola non restò indenne da questi movimenti politici.
Un documento dell’epoca, già pubblicato da altri autori, ci fa sapere che a causa della guerra, Tramutola era quasi distrutta e deserta e quei pochi rimasti avevano appena da vivere.
Poi seguirono anni bui a causa della decadenza della Badia di Cava. Nonostante ciò il suo abate riuscì a mantenere il possesso del solo feudo della Terra di Tramutola.
Nell’arco di 200 anni fu venduto e rivenduto, rimbalzando dai Sanseverini conti di Marsico, ai Capace, ai Piscicelli, ai Caracciolo e via di seguito, subendo le prepotenze e le angherie dei vari affittatori.
Il benessere ritornò a Tramutola dopo la restaurazione avvenuta a favore del Monastero di Badia di Cava e il suo abate fu reintegrato nel possesso di Tramutola con il titolo di barone[9].
Il carattere litigioso dei Tramutolesi servì a mitigare il potere oppressivo baronale; i Tribunali di Napoli erano pieni delle suppliche e liti prodotti contro la Corte Baronale; i documenti ci dicono che l’Università di Tramutola pagava annualmente gli avvocati che patrocinavano i ricorsi nei Tribunali in Napoli ed altrove. Di cosa si tratta basta leggere quanto pubblicato dal La Padula e dal Bonsera, Oriolo e Troccoli.[10]
Nel 1500 e nel 1600, in pieno periodo rinascimentale, in Tramutola si formò una ricca borghesia divisa in classi sociali: dei nobili, non titolati ma che vivevano da nobili; dei popolani che erano artigiani, commercianti massari, campesi. La crescita del loro benessere favorì l’espansione urbanistica, economica e sociale del paese. Vi era anche la classe dei bracciali.
Non fu insensibile ai moti popolari scoppiati a Napoli con a capo Masaniello, scoppiati a causa dell’oppressione fiscale da parte degli Spagnoli. Infatti un degno cittadino di Tramutola fu impiccato nella Piazza del Mercato a Napoli e la sua testa fu mandata a Cosenza perché servisse da monito per il Conte Sanseverino e i suoi uomini, che avevano combattuto contro gli Spagnoli.
Il De Blasis scrive dandone testimonianza alla pag. 145: “A dì 24 di dicembre 1649 fu per ordine della Regia Giunta appiccato Andrea Marotta di Tramutola capitanio di cavalli per nova rivoluzione di anni 26.
Io Andrea Marotta dichiaro per disgravio della mia coscienza, avendo da rendere l’anima a Dio benedetto, come lunedì 20 dicembre 1649 essendo tormentato dalli Signori Giudici della Giunta, dissi che io all’arrivo dell’armata francese in Salerno tenni ordine di don Giovanni Sanseverino conte della Saponara et di don Antonio suo fratello di far gente a favore di detta armata, come anco che fu dato a don Carlo Planterio, Cosmo Granito, e Scipione de Sio, Giuseppe Curiale, Domenico Mercadante, Francesco Macchia, Dionisio Marotta, Giovanni Melentio, Bernardino Marotta, et altri che non mi ricordo, per soccorso di detta Armata, come anco che si fusse mandato Gio. Antonio Lo Spinoso, e fra Santo de Marano a spiare detta Armata, e che del tutto ne stesse inteso Antonio Attolini Segretario di detto Conte, e Carlo Caramello. Il che non è vero, ma l’hò detto per timore e dolore dei tormenti, e li restituisco la fama e prego Dio Benedetto a perdonarmi. Capitano Andrea Marotta, 24 decembre 1649[11].
Questo fatto dimostra quanto è stato sempre vivo e radicato nei Tramutolesi l’insofferenza verso l’occupazione straniera del nostro suolo italico. Anche se nel 1600 certamente il risorgimento non era ancora incominciato.
Nello stesso periodo 1500-1600, in Tramutola si era anche formata una numerosa classe di ecclesiastici tra i quali vi erano una ventina di Padri Predicatori che erano richiesti dalle parrocchie circonvicine. Per questo motivo l’Abate di Cava, dovendo aprire un seminario diocesano, scelse Tramutola e vi fondò il seminario che operò per circa trenta anni.
Nel 1700 Tramutola visse sotto il potere baronale ed ecclesiastico favorito dall’acquistata fama spirituale del Monastero Cavense.
Tramutola ha subito vari attacchi pestilenziali, il più terribile fu quello della prima metà del 1600, che decimò la popolazione, alcuni preti si distinsero nel soccorrere i contagiati morendo loro stessi per contagio.
Da una relazione dell’Arciprete di Tramutola del 1736 si ricava che gli abitanti erano 3169, (1603 maschi e 1566 femmine); i preti poi 70, di cui una diecina dimoranti in Napoli. Alla chiesa come tassa prediale veniva corrisposto da ogni massaro 5 stoppelli per ogni misura di grano ed orzo, che risultano incirca all’anno 50 tomoli di grano e altrettanto d’orzo, e quelli che producevano il lino ne davano un fascio all’anno, raccogliendosi in circa 400 fasci; ogni fascio corrispondeva al valore di un carlino.
Era quasi un secolo che Tramutola stava tranquilla sotto l’Abate, quando nel 1732 un avvocato, Giuseppe Avitabile di Cava, espose alla Regia Camera della Sommaria che l’Abate defraudava il Regio Fisco per i diritti di pesi, misure, scannaggio, Piazza, forni e mulini, perché venivano riscossi dall’Abate mentre erano del Fisco. La Regia Corte prese informazione e si scoprì che in effetti era il fisco creditore verso l’Abbate per circa 450 ducati esatti in più. Nonostante questo, le lagnanze e liti continuarono e sebbene l’Abbate avesse  sempre ragione, nel 1758 si venne ad una convenzione per cui il fornatico, la cui rendita era allora di circa ducati 400, e il diritto dei mulini, pari a circa tomoli di grano 500, furono ridotti a metà.
Si era appena sopita la lite, quando un altro avvocato, Tommaso Galise, propose addirittura l’allontanamento e la soppressione del Monastero dei monaci benedettini, perché, diceva, i monaci presenti non erano i legittimi successori di quelli ai quali gli antichi Sovrani di Sicilia avevano concesso beni e privilegi. La causa fu trattata, ci fu una ennesima sentenza della Curia del Cappellano Maggiore, confermata dal Re Ferdinando IV e l’Abate fu reintegrato nei suoi diritti.
Conosciutasi a Tramutola tale questione, gli scontenti si risvegliarono e capitanati da Michele Favella[12] rinnovarono presso la Regia Camera le proteste per i forni, mulini e diritti baronali, sostenendo questa volta finanche la falsificazione dei privilegi e donazioni di Silvestro e Guglielmo Conti di Marsico e di altri, su cui erano basate le “pretenzioni” dell’Abate.
Il Re Ferdinando IV con un suo dispaccio riconobbe la verità dei titoli, e confermò pienamente tutti i privilegi e giurisdizioni dell’Abbate. Ma poiché nei feudi della corona aveva già abolito tale ius prohibendi consigliò l’Abate di abolirlo a Tramutola e si divenne ad un accordo: il Monastero propose di rinunciare al ius prohibendi  sui forni e sui mulini a favore dell’Università in cambio di un canone annuale di ducati 150.
Tutto questo, approvato dal Re, si doveva pubblicare in Tramutola nel giugno del 1797 con pubblico Parlamento a cui concorrevano i capi famiglia, ma per opera di alcuni cittadini ormai imbevuti di idee giacobine ed illuministiche (Tramutola fu definita dall’Abbate di Cava una piccola Ginevra), si suscitò una sommossa popolare nella quale vennero gridate villanie sotto il Palazzo della Corte. Il Vicario abbaziale fu malmenato insieme all’Abbate stesso, don Tommaso Capomazza, che ivi si trovava per la visita Pastorale. In breve il tumulto fu sedato da una Compagnia di soldati di Campagna agli ordini della Regia Udienza di Matera e per ordini Ministeriali i capi furono arrestati e puniti.
Essi risorsero nel breve periodo della Repubblica Partenopea piantando l’Albero della Libertà cosi aderendo al movimento rivoluzionario in Napoli e nel Regno di Napoli, promossa da quei cosiddetti giacobini ed appoggiati dal Governo Francese. Il breve sanguinoso epilogo di questa Repubblica è stata narrata da vari autori: Il Pedio e particolarmente riferiti ai fatti di Basilicata e della Val D’Agri dal Falasca.
In seguito alla Realizzazione avvenuta nel Regno da parte dei Borboni e successiva dominazione borbonica che durò fino all’eversione feudale, infatti, con l’avvento dei francesi che occuparono il Regno di Napoli, costringendo il Borbone a rifugiarsi in Sicilia, con la legge del 6 agosto 1806 fu abolita la feudalità, l’Abbate con gesto magnanimo donò tutto all’Università e tenne solo il titolo di Barone e la giurisdizione Episcopale.
A Tramutola, come si è detto precedentemente, all’inizio del secolo XIX l’aspetto politico era in pieno fermento.
I giovani che studiavano a Salerno e a Napoli, appartenenti a quelle famiglie  che avversavano il potere baronale, erano in contatto con quelle persone che propugnavano idee liberali. Essi rientrando a Tramutola per trascorrervi le feste natalizie, non ritornarono nelle sedi di studio, e da protagonisti parteciparono alla piantagione dell’albero della libertà[13] insieme alle truppe francesi che batterono quelle borboniche, e caldeggiarono l’istituzione del Governo Rivoluzionario (Repubblica Partenopea) con conseguente cacciata dei borboni da Napoli che ripararono in Sicilia.
Il sogno di libertà di questi giovani e di quei capi famiglia durò poco, meno di un mese; infatti la reazione monarchica non tardò a farsi sentire: le orde dello Sciarpa partirono dal Vallo di Diano, dilagarono nella Valle dell’Agri e per prima Tramutola subì la restaurazione del Re Borbone. Ai primi di marzo fu abbattuto l’albero della libertà, molti cittadini furono arrestati, poi più tardi, in seguito all’indulto, uscirono liberi.
Il Prof. Pedio ci fa conoscere i nomi di alcuni di essi: Dott. Cuntò Paolo, legale; Nicola De Rautiis, proprietario; Don Michele Marino, Marino Valente Dottori in utruque jure; Marotta Domenico, proprietario; Sacerdote Pascarella Francesco.
Nonostante questi avvenimenti politici, il potere amministrativo era ben consolidato: a detenerlo erano i membri di quelle poche famiglie che, anche se in combutta con il potere vigente (una volta parteggiavano con i repubblicani, ed altre volte con i moderati), cercavano di essere sempre presenti nei gangli dell’amministrazione municipale.
Da alcuni documenti rinvenuti in un archivio privato del 1804 si apprende che l’affittatore del feudo della Terra di Tramutola era un De Rautiis, il Mastrodatti della Corte Baronale era un certo Nicola Taiano, il Giudice Portolano era Francesco Mazziotta, l’Università (il Comune) era retta dal Capo Eletto Francesco Marino e dagli Eletti Giuseppe Luzzi e Carmine Ormando. Il Serviente ordinario della Corte Portolana era il Sig. Pietro Antonio Rizzo. Vi erano anche altre figure amministrative. Il Sigillo ufficiale di detta Corte che si apponeva su tutti gli atti ufficiali era tondo recante una figura assisa con i simboli del potere: lo scettro e il globo, rappresentante la S.S. Trinità con la scritta Tramutola Custos.
Il territorio di Tramutola è stato sempre molto ristretto per cui non si sono mai sviluppate lotte contadine per la divisione delle terre demaniali, salvo la pacifica invasione del demanio Monticello avvenuta dopo l’eversione feudale. I contadini di Tramutola erano piccoli proprietari in quanto, sottoforma di colonie con contratto enfiteutico, lavoravano i terreni siti nei vari feudi che circondavano il paese in territorio di Marsiconuovo, Marsicovetere e Saponara (poi Grumento Nova).
In considerazione di tutto questo, il trapasso dal regime feudale al nuovo ordinamento sociale ed economico apportato dai Napoleonidi nel 1806 nel Regno di Napoli non generarono aspre lotte, tutto fu accettato con moderazione. I Tramutolesi furono impegnati solamente all’acquisizione della proprietà. Le terre feudali ed anche quelle burgensatiche furono smembrate e i già facoltosi  proprietari accrebbero le loro proprietà acquistando  i detti territori boscosi e sativi.
Per legge dello stato scomparve la proprietà dei “Luoghi Pii”, furono abolite le cappellanie con conseguente impoverimento del numero degli Ecclesiastici che a Tramutola erano numerosi e dotti.
Scomparve la corte baronale, gli armigeri (guardie baronali) furono sostituiti dalle guardie municipali; le terre demaniali controllate dai guardia boschi e campestri.
I Reggimentari dell’Università furono sostituiti dal Sindaco e dal Consiglio Decurionale; a capo della Provincia si nominò un Intendente.
Solo nel 1809, lo Stato delle Anime tenuto dai preti Capitolari (normalmente veniva formato in occasione della Pasqua) che determinava approssimativamente la popolazione del feudo o della comunità suddivisa in fuochi per indicarne la contribuzione fiscale sotto forma di decime, fu sostituito con registri redatti in duplice copia tenuti dai Sindaci che fungevano da Ufficiale Anagrafico e raccoglievano nascita, le morti e i matrimoni. Così nacque lo Stato Civile e le persone ebbero una ragione sociale ed individuale. Alcuni di questi Registri sono consultabili presso l’Archivio Anagrafico Comunale.
In occasione dell’abolizione del regime feudale, molte  terre e palazzi feudali passarono in demanio dei Comuni. Il territorio di Tramutola era molto ristretto e molte proprietà terriere e immobiliari risultavano nei territori dei Comuni confinanti, per cui, i Tramutolesi, iniziarono le cause per all’argare ed estendere topograficamente il territorio Comunale.
Furono abolite le promiscuità con i territori di Marsiconuovo e Marsicovetere,
mentre i terreni posti al confine con Saponara, anche se posseduti da cittadini tramutolesi, furono accatastati nel comune di Saponara. Lo Tramutola Vecchio fu acquistato nel 1300 da un cittadino di Saponara per cui ritenuti da sempre territori grumentini.
Solo nel 1880 circa si pose fine a queste controversie, determinando l’attuale configurazione topografica del territorio tramutolese.
L’economia a Tramutola seguì anch’essa la rivoluzione dei tempi nuovi: dalle decime che si pagavano ai vari feudi e alla corte baronale sotto forma di cera, incenso, grano e fasci di lino, si passò al reddito individuale ed alle contribuzione all’erario dello stato.
Il Monte di Pietà, istituito per aiutare i giovani che frequentavano gli studi in medicina ed in altre discipline, ma soprattutto aiutava quelle ragazze prossime al matrimonio, fu sostituito dal Monte Frumentario, poi dall’Associazione Operaia di Mutuo Soccorso indi dalle associazioni sindacali.
Poche famiglie del vecchio regime sopravvissero nei tempi nuovi: i Falvella, i Rautiis, i Marotta e i Di Pierri, i Collutiis, i Marigliani, i Natoroberto, i Denictolis, i Tavolaro e i Fusaro, i Savone e poche altre.
Scomparirono le cospicue famiglie dei Terzi, dei Castagna, dei Messina, dei De Muria-Brussone, dei Ferrara, dei Panella, Cavallo, Cuntò, Marini.
Al loro posto sorsero le famiglie emergenti: Pecci, Aulicino, Pericoli, Guarino, Mazziotta, Troccolo, Vita, Iacovino, Marrano poi Giorgio Marrano, Greco, Ormando ed altre.
L’economia da agro-pastorale divenne imprenditoriale; i vecchi padroni vennero sostituiti da conduttori di piccole industrie armentizie, boschive, artigianali.
I falegnami ebbero botteghe, come pure i barbieri, i calzolai, i fabbri; solo i sarti confezionavano gli abiti nelle loro case o a domicilio dei clienti.
Fiorente era l’arte delle filatrici e tessitrici, rinomati erano gli “scardalana” o cardatori di lino, lana e canapa.
Punto di riferimento era la “Taverna”, una specie di emporio e forse anche di pernottamento occasionale, dei Favella in piazza con annessa spezieria e negozio di seta.
I muratori erano anche richiesti nei paesi vicini.
Numerosa era la classe dei braccianti, anche essi molto richiesti per la loro competenza e laboriosità. Essi seguivano le transumanze degli animali verso le località marine e lì contrattavano il lavoro per la mietitura del grano.
In questo periodo di nuova espansione economica si costruirono veri e propri palazzi con caratteristiche architettoniche neo classiche stilizzate: Palazzo Rautiis, Guarino,  più tardi il Palazzo Aulicino, Terzella, Pecci in piazza e quello dei fratelli Marrano (ora Ponzio ed altri). In epaca recente cioè nel 1900, i Palazzi Ponzio, De Marca, Giocoli ricostruiti dai muratori Oriolo.
Dei palazzi antichi poco o niente resta delle loro originarie forme architettoniche. Alla Vallicella si può ammirare un loggiato con colonne e capitelli tutto realizzato in pietra. Come pure la casa “palazziata” dei Collutiis sita in Via Garibaldi e quello dei Luzzi ex famiglia dei Terzi. Degli altri palazzi si possono ammirare i portali litici in pietra grigia che si poteva ricavare alle falde del monte Monticello (ancora ci sono tracce di questa antica cava).
Di notevole interese sono le mensole dei balconi e delle finestre scolpite con varie figure di donne con il seno coperto e l’altra con il seno scoperto e nel mezzo di queste mensole vi sono scolpite teste di puttini, le mensole laterali servivano da appoggio ai vari vasi, o con fiori o con piantine di assenso per la cucina.
Le case degli ecclesiastici si distinguevano dal portale di accesso, esso al posto del capitello scorniciato, recava un capitello con incise una testa di angelo alato; il concio del piedistallo della colonna recava scolpito un leone stiloforo con la distinzione genitale del maschio e della femmina.
Il centro storico di Tramutola urbanisticamente ha conservato la sua originaria conformazione topografica sviluppatasi sin dal tardo Medio Evo. I vari terremoti hanno sistematicamente distrutto sempre il caseggiato, ma tutto è stato ricostruito sulle fondamenta originarie, conservando i vichi, le quintane, gli “spuort’” (sottopassaggi). Solo dopo il terremoto del 1857 si pensò di eliminare alcune vecchie chiese pericolanti, creando al loro posto degli spazi urbanistici. Dopo il terremoto del 1980, i nuovi amministratori hanno continuato l’opera di abbattimento delle chiese pericolanti creando al loro posto nuovi spazi arredati utili alla popolazione.
Alla fine del decennio Francese seguì la restaurazione Borbonica, anche questo trapasso non apportò movimenti rivoluzionari degni di nota.
Però alcune famiglie Tramutolesi di antica tradizione liberale, sulla scia delle antiche aspirazioni, si affiliarono alle società segrete e massoniche: la loro azione contribuì a preparare la strada al RISORGIMENTO ITALIANO.
Qualche Tramutolese fu processato per i moti carbonari accaduti nel Regno di Napoli nel 1820-21.
Per i moti del 1848, un Tramutolese che viveva a Potenza, perché segretario del circolo Costituzionale Lucano fu processato e nel 1852 fu indultato e confinato a Torre del Greco, egli era L’Avv. Vincenzo Lombardi, fratello di quel famoso Andrea Lombardi archeologo e studioso di economia che a Potenza rivestiva la carica di Intendente di Basilicata. Più appresso, per A. Lombardi, illustre figlio di Tramutola, si dedicherà un capitolo a parte.
Il prof. Pedio, nelle sue  relazioni statistiche sulla Basilicata, illustra lo sviluppo artigianale e mercantile, che si raggiunse a Tramutola nel primo cinquantennio del 1800.[14]
I monti di Tramutola erano ricchi di piante di castagno e di noci. Questi legnami erano largamente impiegati nelle costruzioni e nella fabbricazione di varie suppellettili per la casa. Ciò facilitò l’esportazione verso quei paesi che ne erano sprovvisti.
I fabbri a Tramutola erano atti soprattutto a confezionare gli ordigni necessari all’agricoltura e quelli per uso domestici e si commerciava nella provincia.
Delle manifatture particolari il Pedio recita: “Anche a Tramutola, nella Valle dell’Agri, si manifattura del Rame, che si immette da Vietri detto di Salerno, in vasellame da cucina e per altro… e si commerciano nella Provincia”.
Dallo Stesso Studioso: “… mentre a Tramutola il lino detto rustico costa carlini 3 il rotolo, il molle e gentile da grana 45. …il lino grezzo importato dal Vallo di Diano, al prezzo di 3 carlini la libbra, dai paesi di Terra di Lavoro, al prezzo di 13 grana, da Tramutola, Sarconi e Viaggiano al prezzo di 9-13 grana, mentre da Moliterno si importa il lino vernotico detto rustico al prezzo di 10 grana la libbra.
“…a Tramutola, dove la produzione di tele di lino oltrepassa di molto ciocchè necessario al consumo e si commerciano da rivendugli nell’intera Provincia, …una canna di tela di palmi tre di larghezza delle migliori si vende a carlini 6 e fassene uso la classe de’ possidenti per biancheria da letto e da persona, mentre le tele delle quali fanno uso gli operai di Città e di campagna per gli stessi oggetti sogliono essere da grana 30 a 33”[15].
Si producevano anche delle ottime tele mistolino ottenute dalla canapa e dal cotone con  una larghezza di palmi due e mezzo. In Tramutola  si produceva  canapa fin dal secolo XVIII ed insieme a Marsicovetere, era tra i maggiori paesi esportatori di tale prodotto.
Per quanto riguarda la lana, dal Pedio apprendiamo che: “Nell’Alta Valle dell’Agri, a Tramutola la lana gentile di produzione locale si suol vendere da 5 a 6 carlini per rotolo”[16].
A Tramutola vi era una sola “gualchiera” e quando non era capace di preparare tutti i panni che si fabbricavano nel paese, si faceva uso delle gualchiere di Padula, Viaggiano e Marsiconuovo.
Vi era anche una tintoria che usava tingere in vari colori resistenti al lavaggio del lascivio di cenere o all’acqua di albume.
Le antiche concerie dove si lavorava dell’ottimo cuoio sono scomparse. Ma oggi è possibile ripercorrere le tracce di questa antica tradizione nella toponomastica.
Come pure è scomparso l’antico scambiatore dell’acqua che fluiva dal lavatoio e che veniva utilizzato dalla Corte Baronale che, con l’esazione di decime, permetteva di irrigare i giardini delle Pantane e dava forza al funzionamento dei vari ordigni dei  mulini di San Carlo.
Per quanto riguarda la panificazione, vi erano due o tre forni pubblici: uno alla piazza e uno sopra la piazza regolati da precise autorizzazioni comunali. Inoltre molte famiglie tenevano in casa dei forni privati dove cuocevano il pane, le pizze e i vari dolciumi preparati durante le festività.
Nel 1853 Tramutola fu oggetto di un fatto portentoso perché una antica statua della Madonna del Rosario, portata in processione, indietreggiò in più punti del paese; successivamente, in Chiesa, si vide una fulgida fiammella girare sul suo volto e quello del Bambino e subito dopo scese dal cielo una pioggia così dolce a ristorare i campi insecchiti dalla siccità. Per questo motivo tale statua fu appellata Madonna dei Miracoli[17].
Nel 1857 Tramutola subì molti danni a causa del terribile terremoto che sconvolse l’intera Valle dell’Agri. Dalle delibere Decurionali si apprende che pure la casa comunale fu molto danneggiata tanto da indurre lo stesso consiglio comunale a riunirsi in una baracca di legno. Gli aiuti governativi furono tardivi e questo contribuì a far crescere il malumore verso la monarchia borbonica. Alcuni cittadini facoltosi intrattenevano corrispondenza con i circoli rivoluzionari della provincia e con quelli di Salerno e di Napoli.
La Cecilia, un cospiratore di Napoli membro del Comitato d’Azione, era venuto alcune volte in Tramutola ospite dei Giorgio Marrano e certamente si era incontrato con altri liberali di Tramutola di area moderata: i Favella, i Guarino, ed altri. Essi erano spiati dal Capo Urbano di Tramutola. Costui si serviva di suo figlio, studente a Salerno, per spiare i figli delle famiglie liberali che studiavano a Salerno e Napoli.
Nonostante questa sorveglianza poliziesca, il giorno 13 agosto 1860, Boldoni, Giacinto Albini, Mignogna, e che rappresentavano le varie dottrine a cui si ispiravano i rivoluzionari, venendo da Napoli si fermarono a Tramutola.
Presero accordo con il sottocomitato rivoluzionario che aveva sede in Tramutola, stabilendo di convergere con una colonna armata alla volta di Corleto Perticara il 15 dello stesso mese. Corleto era stato eletto come punto di riferimento per tutte le colonne armate della provincia.
Nel paese si sparse la notizia dei successi garibaldini in Sicilia e dell’imminente sbarco degli stessi in Calabria. Il popolo si adunò in piazza al grido di viva Garibaldi e Vittorio Emanuele Re d’Italia e non appena i tre cospiratori furono partiti alla volta di Corleto, la mattina del 14 agosto, i Giorgio Marrano, i Guarino, i Favella ed altri esposero sul balcone la gloriosa ed antica bandiera tricolore recante nel bianco una figura di donna con in mano uno scudo, custodita gelosamente dai Guarino. Con tale gesto fu proclamata la caduta del Governo Borbonico dando inizio all’insurrezione lucana che culminò il 18 agosto a Potenza.
L’indomani alcuni uomini della Valle, arrivati in Corleto, riferirono l’accaduto; si vide il Boldoni inveire contro i tramutolesi ritenendo tale gesto patriottico insensato e intempestivo, controproducente alla causa insurrezionale; ma gli avvenimenti incalzavano e con l’arrivo della colonna armata dei Tramutolesi capitanata dai fratelli Giorgio Marrano tutto fu appianato e chiarito.
Questo fatto di rilevanza storica è stato sempre taciuto dai maggiori studiosi dell’insurrezione lucana, come pure non è stato dato rilievo storico al Giorgio Marrano che si distinse nella lotta al brigantaggio, militando nella Cavalleria del Mennunni, nella zona del Melfese, fino a che il prof. Pedio ha messo in luce il valore dell’apporto dei tramutolesi alla guerra d’indipendenza dai Borboni.
Conclusasi la fase storica del Risorgimento, a Tramutola non sono accaduti fatti notevoli di rilievo storico, tranne le cose di normale amministrazione per  l’assetto dei vari uffici amministrativi. Bisogna anche citare l’alacrità degli amministratori di allora per l’impegno profuso nella realizzazione di varie opere pubbliche nel nostro paese, specialmente per quanto riguarda la viabilità provinciale. Infatti il consiglio Decurionale dell’epoca, riuscì, con i nuovi ordinamenti, a far abbattere l’antica chiesa di S. Sofia o del Purgatorio sita nella piazza, perché danneggiata dal terremoto del 1857. Si risolse così il contenzioso con l’Abate di Cava,  che ancora rivestiva la carica di vescovo diocesano, e che non voleva l’abbattimento di detta chiesa ma il suo restauro.
Altra decisione di particolare rilievo fu la distruzione della chiesa di S. Rocco:  per non ostacolare la costruzione della strada che conduce al Vallo di Diano, l’amministrazione non si curò più di tanto nell’ordinare la demolizione della Chiesa di San Rocco ubicata  alle Cesine di sopra. Fu una reazione dei liberali o dei Massoni? Non disponendo di documenti relativo a questo episodio, possiamo  congetturare che la buona fede spinse i nostri avi a sostenere  la realizzazione di opere necessarie alla comunità, piuttosto che reagire contro il vecchio barone di Tramutola, fosse pure l’Abate della Badia di Cava dei Tirreni.
Come si discorrerà nei capitoli successivi, il Comune si industriò a creare quelle condizioni del vivere civile, provvedendo alla nettezza delle strade e alla riparazione dei danni del terremoto del 1857. Si cercò di dotare il comune di quei servizi ordinari come il regolamento dei vigili urbani, campestri e via discorrendo fino alla creazione di impianti per l’erogazione della  corrente elettrica, al telegrafo e poi al telefono ed a fornire il paese di un acquedotto di acqua potabile, se pure parziale, per i bisogni quotidiani della vita.
Poiché, si è sempre asserito che a Tramutola si rinveniva del bitume lungo il corso del Caolo, ci si adoperò per far fare delle ricerche dal Ministero Nazionale, affinché si rinvenissero giacimenti di petrolio, infatti vi sono stati dei pozzi per l’estrazione del petrolio che poi a causa della guerra o per altri motivi, furono smantellati. A tal riguardo altri autori hanno scritto su questo argomento e penso che altri lo faranno con maggiore completezza di argomenti.
Le due Guerre Mondiali, il Regime Fascista, l’avvento della Repubblica, questi accadimenti storici politici ancora sono vivi nei nostri ricordi ma che esulano da questo lavoro.
Per quanto riguarda la presenza dell’AGIP mineraria a Tramutola, ci pregiamo riproporre un bell’articolo del nostro concittadino Pino Giani pubblicato il 26 marzo del 1950 nella pagina del corriere della Basilicata inserita nel quotidiano “il Mattino”, in occasione della visita dell’On. De Gasperi in Val D’Agri.

“Tramutola, 25
Ella è stata nelle nostre terre, Eccellenza De Gasperi, e noi La ringraziamo di cuore e le protestiamo la più sincera gratitudine. La Sua venuta tra noi rappresenta una dimostrazione e una promessa: una dimostrazione che il Governo è animato dalla migliore volontà per il riscatto e la rinascita della nostra regione; una promessa che tale buona volontà sarà sostenuta anche e soprattutto nell’avvenire e sarà integrata – così come comincia ad esserlo oggi – da concrete feconde opere valorizzatrici.
Nella prima parte del Suo viaggio in Lucania Ella, Eccellenza, ha sostato – e non brevemente – in Val D’Agri per la cerimonia inaugurale di quelle opere di irrigazione e trasformazione fondiaria che faranno dell’avara terra bagnata dal Caolo e dall’Agri una plaga ubertosa e ferace. Al Suo arrivo nella contrada “Raspollo” il sorriso delle belle fanciulle Tramutolesi che nel pittoresco e antico costume Lucano Le si son fatte incontro per darLe, in un linguaggio semplice e per tanto espressivo, il saluto del nostro popolo, Le hanno detto, Eccellenza, quanto gradita sia stata la Sua visita fra le genti di Val D’Agri. E Lei l’ha compreso, on. De Gasperi, Lei lo ha compreso e l’ha apprezzato. Ha voluto farsi ritrarre insieme a loro e di buon grado ha ricevuto l’omaggio floreale e la simbolica offerta di un fascio di spighe e di una zolla imbevuta del nostro petrolio. Negli occhi luminosi di quelle bimbe, Ella, Eccellenza, ha letto tutto ciò che il nostro popolo voleva dirLe: la sua volontà di rinascita; il suo anelito verso il progresso e la civiltà, la speranza, la fiducia, la fede che ha in Lei non lo dimenticherà: non potrà dimenticarlo. Quando poi, tra un caloroso, unanime applauso, è salito sulla tribuna ed ha fatto seguire la Sua parola a quella dell’Ing. Ramadoro che aveva esposto i benefici che dalla bonifica avrebbe ricavato la Val D’Agri, Ella ha posato lungamente lo sguardo sulla teoria dei grandi cartelli che un gruppo di operai di Tramutola reggeva con silenziosa compostezza e vi ha scorto ancora, con una sensibilità che La onora, il vero carattere del sano lavoratore lucano, le sue giuste esigenze, le sue pene, i suoi propositi. “Non chiediamo l’impossibile” diceva uno dei cartelli e Lei ne ha fatto quasi materia del Suo discorso, compiacendosi con la nostra gente che non ha assurde pretese da avanzare e che, pur conscia dei suoi diritti come lo è sempre stata dei suoi doveri, rifugge dal linguaggio violento, tracotante ma fa sentire la sua voce compostamente, dignitosamente, semplicemente. Lo aver sentito chiedere miglioramenti stradali, la ferrovia in Val d’Agri Le è sembrato giusto perché il problema dei trasporti e delle comunicazioni è quanto mai sentito ed urgente. La lunga, tortuosa via che dallo scalo di Montesano porta a Tramutola non è sempre suggestivamente ombreggiata dal verde dei frondosi castagni come l’ha trovata Lei ora. D’inverno, essa presenta tutt’altro aspetto, quando le braccia scheletriti degli alberi sembrano chiedere al Cielo, per settimane e settimane, che si disciolga perché venga ripreso il traffico che ha quasi soffocato la vita!
Lei certo avrà pensato, anche, Eccellenza, che buona parte di quella gente sui quali campeggiavano i cartelli con le scritte: “Valorizzate il cantiere petrolifero di Tramutola”, “Non Abbandonate i nostri pozzi di petrolio”, “Il petrolio c’è”[18] non ha per tutto l’anno il comune privilegio di lavorare serenamente, ma che attraversa lunghi periodi di miseria col focolare spento e il desco spoglio. Ed ora che dirle di più, on. De Gasperi? Le diremo qui quello che già Le dicemmo, pieni di fiducia, quando dopo la cerimonia inaugurale della bonifica in Val D’Agri, Lei si fermò alla Centrale Idroelettrica di Tramutola: “Si ricordi noi”.
                                                                                                 G. Giani
























CAPITOLO I°

FELICE VIGGIANI
MILITARE REALISTA
CAPO MASSA
UN UOMO

        Come abbiamo escorso gli avvenimenti politici che hanno visto coinvolti alcuni cittadini di Tramutola. Fra questi, vogliamo parlare in modo particolare di un personaggio di difficile collocazione negli avvenimenti Risorgimentali ma che dalla sua storia si potrà carpire il clima di quegli anni bui e intrisi di giacobismo, di delatori e di volta gabbana. Egli era Felice Viaggiano.
Qualcuno potrebbe sorridere di fronte al fatto di voler coinvolgere ed esaltare, un uomo come tanti, da prima calzolaio e poi inquadrato nelle milizie borboniche dei Fucilieri di Montagna di stanza a Matera. Ebbene non sorridete! Secondo il  nostro modesto parere, la sua tragica storia serve ad aprire uno sprazzo di luce nel panorama storico sociale della Basilicata durante la rivoluzione francese e l’invasione degli stessi che scesero dalle Alpi in Italia da predatori[19]; la nostra regione venne coinvolta nei grandi avvenimenti storici che si affacciavano sul grande scenario mondiale. Alcuni storici hanno menzionato questo personaggio.
Egli a modo suo impersonava la legge dal quale si era tenuto ligio al dovere. Non a caso perseguiva quelle persone che trasgredivano, con vari reati comuni, e reati prettamente politici, l’ordinamento a cui aveva giurato fedeltà.
Per lui l’invasione dello straniero nella vita politica della Patria, impersonata dallo stato borbonico del Regno delle due Sicilie, rappresentava una trasgressione alla legge.
Per questa sua indole, comprese l’inarrestabile cambiamento politico dovuto all’invasione francese del 1806, e pensò di produrre un’istanza al fine di essere riarruolato militarmente nell’ordine delle nuove cose. Del resto lo stesso dramma è avvenuto in Italia alla fine della seconda guerra mondiale; le forze dell’ordine prima avevano giurato fedeltà al Re d’Italia quindi alla Monarchia Sabauda e poi per i capovolgimenti politici e militari, giurarono al nuovo ordine Repubblicano. Con questo non desideriamo scrivere la Storia d’Italia sia perché esula da questo lavoro, sia perchè non abbiamo né la capacità intellettuale e tantomeno la capacità professionale.
Ma vediamo chi era Felice Viaggiano, l’uomo il Militare Realista, Capo Massa. La storia di quest’uomo è strettamente legata all’avvento delle Armi francesi nel Regno di Napoli. Il Re Borbone ormai si era ritirato in Sicilia protetto dalle navi inglesi e a Napoli si era dichiarata la Repubblica Partenopea. Il Governo era composto da uomini seri e appassionati, tra cui spiccava il famoso giurista Mario Pagano di Brienza. Costoro erano dei sognatori: credevano in uno Stato di uguaglianza sociale capace di abbattere gli antichi privilegi feudali che il “Re Tiranno” ancora manteneva nel Regno di Napoli.[20]
Purtroppo questa esperienza si concluse tragicamente e sanguinosamente specialmente nella nostra Basilicata.
In Tramutola il sogno repubblicano durò appena un mese, in quanto i ben pensanti tramutolesi recisero l’albero della libertà non appena ebbero sentore dell’arrivo in Val d’Agri delle bande Sanfediste del Cardinale Ruffo di Calabria, capitanate dallo Sciarpa.[21] Per questi fatti solo alcuni cittadini di Tramutola subirono un processo da parte del Visitatore del Re, e poichè i reati erano lievi, furono indultati. Nel 1797 arrivò in Tramutola una Compagnia di Fucilieri di Montagna di stanza in Matera per sedurre una rivolta popolare contro il potere Baronale. Come si vedrà in appresso, il Nostro Felice Viaggiano, fu attratto dalle divise e dall’aspetto militare di questi soldati e nel 1798 ne chiese l’arruolamento.
Felice Viggiani(o) nasce in Torraca provincia di Salerno, verso l’anno 1771\72, figlio di Sabato Viggiani e di Vittoria Mercadante, entrambi di Torraca, i quali verso gli anni a cavallo del 1775\80 si trasferirono a Tramutola insieme ai figli Francesco Antonio e lo stesso Felice.
Sabato Viggiani Muore il 31 gennaio 1783, la moglie Vittoria muore nella casa di Francesco Antonio Viggiani nell’anno 1811.
Feancesco A. si  sposa con Donata Bonadies  di Tramutola, dando inizio ad una famiglia di "Fundachieri" (=negozianti), abitano nella C.da del Beato Pietro, cioè tra la Via Oberdan, Via Cavour, e quella che scende alla Piazza costeggiando il palazzo della “Contessa”. Indi per via di matrimoni contratti con famiglie tramutolesi, dal 1850 i discendenti dei Viggiani abiteranno a San Matteo Via Cavour.
Nello Stato delle Anime del 1798, redatto dall’Arciprete di quel tempo, che si conserva nell’Archivio Parrocchiale di Tramutola, il nucleo famigliare di F. A. Viggiani risulta così composto: Francesco Antonio Viggiani Capo Famiglia di anni 35,[22] Donata Bonadies moglie di anni 26, Sabato figlio di anni 8, Domenica figlia di anni 7, Mastro Marco Antonio Bonadies vedovo di anni 57, Maddalena sua figlia di anni 24.
Felice Viggiani si sposa a Corleto  (Perticara) con Maria Teresa Giorgio, e conserva la residenza ufficiale a Tramutola fino al 1803.
Nel libro dello Stato delle Anime (A.P.T.) del 1798 il suo nucleo famigliare risulta così composto: Felice Viggiani capo famiglia di anni 28, Maria Teresa Giorgio moglie di anni 27, Sabato (Antonio) figlio di anni 1, Vittoria Mercadante madre vedova di anni 61.
La storiografia ufficiale dice che era nato a Tramutola di professione calzolaio. Nel 1798 si arruola nei Fucilieri di Montagna ed abbraccia la carriera militare.
Esercitando anche a Corleto questo mestiere di calzolaio, conobbe Maria Teresa che poi divenne sua moglie. Per la sua indole di giovane serio, ligio al lavoro ed attaccato alla famiglia si sentiva stretto nella condizione di calzolaio che però, gli permetteva di avvicinare molte persone di tutte le condizioni sociali; da ciò gli venne l’idea di arruolarsi tra i Fucilieri di Montagna, che spesso venivano mandati dalla Regia Udienza Provinciale in Tramutola per sedare i tumulti contro la Corte Baronale fomentati da quelle persone imbevute di idee liberali e giacobine.
Quindi nel 1798 venne arruolato in detto corpo e, nell’anno successivo si distinse nella lotta repressiva dei moti repubblicani. Per il suo valore venne inviato, con una partita di 45 Fucilieri, e destinato di stanza nelle Puglie presso Monsignor Ludovisi.
 Monsignor Ludovisi era vescovo di Policastro e insieme al Monsignore Turisio Vescovo di Capaccio, nel 1799 diresse le truppe Sanfediste che scorazzavano tra il Cilento e la Basilicata. A capo di queste truppe vi era Gerardo Curcio detto Sciarpa. Queste bande raccoglievano tutti i soldati borbonici sbandati, e a questi si unì il Viggiani. Dopo la realizzazione borbonica con la conseguente cacciata dei francesi e l’abbattimento dei cosiddetti alberi della libertà e il ritorno in Napoli dei Borboni, Monsignor Ludovisi lo richiamò in Puglia presso di lui.
Per il suo zelo ed attaccamento al dovere di soldato meritò una commendizia di Alfiere. Trascrivo la notizia di questa Commendizia di Alfiere che dava il diritto di essere appellato con il “Don”, segno di stima e rispetto, tratta dal fascicolo del suo processo che si conserva presso l’Archivio di Stato di Potenza.
“Da Noi qui sottoscritti e rispettivamente crocesegnati Amministratori dell’Università di questa Terra di Corleto in Basilicata si fa fede, anche per qualmente Don Felice Viggiani, Alfiere delle Milizie Provinciali, fu destinato al Comando di questi Miliziotti dal Tenente Colonnello Don Rocco Stoduti, nel dì 18 agosto 1802. Lo stesso è stato, ed è uomo onesto, retto osservante delle Leggi, è suoi doveri, che non ha tralasciato d’istruire i medesimi Miliziotti nell’arte Militare in ogni giorno festivo, e mantenerli bene subordinati, acciò non avessero commessi disturbi, ove il medesimo Alfiere Viggiani con sua brava condotta ha saputo mantenere il buon’ordine e disciplina militare, cosacchè dal medesimo alfiere, o da altri suoi individui si sia dato verun disturbo, o altra disattenzione in questa nostra Padria. Come anche si attesta che nel mese di ottobre dello stesso anno, vedendo questa popolazione a mal partito, a causa di una comitiva, che infestava tutto questo  Paese, ed anche le massarie della campagna, motivo per cui non si potea dormire la notte, dovendosi vegliare colle armi alla mano, per difendersi ogn’uno dall’assassinio, e per la difesa del proprio individuo, mosso il detto Alfiere da zelo, ed amore, nella del 14 ottobre con valore, e spirito, procurò l’arresto di sette ladri della detta comitiva, che facevano de furti qualificati tanto nel Paese, che nelle predette massarie, e di persona li condusse nelle Regie Forze di Matera a proprie spesa, senzacchè il detto Alfiere Viggiani avesse pretesa cos’alcuna da questa Università. Ma a solo punto d’onore, e di zelo, che bacia la M.S. D.G. E per essere il vero Sovrano e formata la presente sottoscritta e crocesegnata rispettivamente di nostra mano, e roborata colle armi di questo pubblico segno roborato.”

Corleto sotto il d’ di 26 giugno 1803
Don Vincenzo Bonadies Sindaco
Giuseppe Vito Magaldi Capo Eletto
Segno di Croce di Vito Filippo Ruggiero Eletto
Filippo Massaro Eletto
Vincenzo Cortesano Eletto

                                                                                   Zito P. Cancelliere

Che il Presente certificato sia stato sottoscritto e crocesegnato rispettivamente di propria mano dai sopradetti Signori Amministratori della Università suddetta di Corleto, è roborato anche col solito suggello della medesima e per essere i medesimi tali quali si sono ascritti attesto io Regio Notare Rocco di Pietro di Corleto medesimo in Basilicata ed in fede, richiesto ho segnato.

Venne il 1806, le Armi Francesi ritornarono vittoriose ad invadere il Regno di Napoli e delle Sicilie. Tutte le conquiste sociali acquisite in Francia e sempre anelate in Italia e specialmente nel Regno dei Borboni di Napoli, furono trasferite e sperimentate nel Regno stesso ed anche in quasi tutta l’Italia; gli antichi giacobini ora definiti “Galantuomini” risorsero a vendicare i torti subiti dalla realizzazione condotta dal Cardinale Ruffo nel 1799.
Bisogna dire che questa seconda invasione da parte dei Francesi, portò ad una nuova corona reale alla Francia in vece del “berretto repubblicano”; a noi non diede libertà e indipendenza forse anche a causa dei ceti benestanti che ora servivano i Borboni e ora, per convenienza, servivano i Francesi.
Però molte furono le riforme apportate nella Pubblica Ammnistrazione che segnò il principio della democrazia e della moderna civiltà.
Come sopradetto, Felice Viggiani capì che molte cose stavano cambiando. Per l’indole soldatesca, nel mese di marzo del 1806, scrisse una lettera di supplica al Re Giuseppe Napoleone spedita per mezzo dell’Agente del Duca di Corleto Riario in Napoli per essere arruolato nel nuovo esercito[23]. Ma la richiesta non venne accolta, poiché i vecchi militari del passato Governo era mal visti.
Il Nostro aveva a carico in famiglia due figli ed il terzo stava per nascere e sua madre vedova, l’orgoglio gli impediva di ritornare ad esercitare l’antico mestiere del calzolaio, che almeno gli avrebbe assicurato la sopravvivenza finanziaria, ma la  condizione sociale acquisita, che lo pregiava dell’appellativo “don”, gli vietava di ritornare al mestiere. Però doveva pur assicurare un tozzo di pane alla famiglia giacchè si definisce povero ed onesto. Ecco perché si fece sedurre dall’idea di combattere l’invasione straniera  con la speranza di far ritornare la Monarchia dei Borboni e così essere reintegrato nella sua posizione di militare.
Il Prof. Pedio nel Dizionario dei Patrioti Lucani[24] a pag. 337 così recita “…dopo la caduta della Monarchia Borbonica organizzò le forze antifrancesi di Corleto e dei paesi limitrofi e promosse l’insurrezione antifrancese a Corleto nel luglio del 1806: attaccato dal Maggiore Casella, rioccupò Corleto il 27 luglio e mantenne questo centro abitato sino al 7 agosto. Inseguito, venne catturato nel bosco di Corleto il 26 agosto. Ritenuto prigioniero di guerra, usufruì dell’indulto Sovrano”.
Così la storiografia ufficiale. Secondo quanto lui stesso attesta, venne catturato mentre se ne stava tranquillamente in sua casa in seguito alla delazione di quelle persone che avevano protetto i ladri e grassatori. Ora questi signori, al servizio del nuovo Governo, si facevano chiamare galantuomini ed onesti cittadini, perché difensori del nuovo corso politico e militare. La sua tesi difensiva era che, in quanto forestiere a Corleto, gli venivano addebitate colpe non sue, e quindi, il suo arresto serviva a salvare i paesani insorti.
Ma vediamo dalla sua deposizione prodotta in sua discolpa dalla quale si cerca di comprendere il personaggio ed il clima politico dei nostri paesi lucani in quei tristi anni.
In primis leggiamo le pagine delle accuse, scritte nel processo formato dopo la sua cattura ed arresto.

        Pag. n. 6 del fascicolo:

Corleto a dì diciassette Agosto mille ottocento sei.
Giuseppe Maria De Turris di questa terra di Corleto, dice essere Regio Notaro, d’età sua di anni cinquantasette circa.
Interrogato =ha congiuntamente deposto, che sin dal momento, in cui entrarono in questo Regno le gloriose Armi francesi, tutto questo Popolo è stato sempre attaccato, ubbidiente e fedele alle Armi suddette, che legittimamente lo conquistarono, ed all’attuale augusto Governo del Giustissimo e clementissimo Re di Napoli, e della Sicilia Giuseppe Napoleone Bonaparte; perlocchè si è sempre in questa Sua Patria mantenuta la tranquillità e il buon ordine. Questa felicità, e buon sistema si perderono dal giorno quindici del prossimo cadente luglio corrente anno suddetto, perché nella sera del menzionato giorno con iscandolo de’ Cittadini onesti si vidde da ogn’uno, e da esso Testimonio, Felice Viaggiano di Tramutola qui da molti anni riparato, commorante di professione Scarparo, ed indi Alfiere delle Milizie Provinciali del debellato passato Governo dell’ex Re Ferdinando Borbone, a scanso che egli meritò, perché nell’anno mille settecento novantanove si distinse nel brigantaggio di allora, si vide come si è detto munito di montura di Alfiere ed insignito di coccarda rossa, insegna rivoluzionaria e del passato governo. Così insignito il Viaggiano cominciò a porre questa Patria in rivolta, animando ognuno a coccardarsi, ed a prendere le armi, asserendo, che erano piombate nello Spinoso l’armata del detto ex Re Borbone, cui come antico Padrone, dovea ognuno essere attaccato, e doveva difendere la di lui causa. Queste sediziose voci, che niuna impressione far dovevano negli animi degli uomini onesti, ed attaccati al presente giustissimo Governo furono bastevoli a trascinare, e sedurre i cuori delle persone ignoranti; come infatti furono da lui sedotti e traviati vari Paesani di esso Testimonio, tra i quali si contano Prospero di Francesco Antonio Bonadies, Antonio di Prospero Bonadies, Giuseppe Domenico di Prospero Bonadies, Antonio e Prospero fratelli di Bonadies figli di Nicola, Pasquale Bonadies, Paolo Buonadies Lorenzo Giorgio, Mastro Carlo Carbone, Mastro Andrea Rago, Nicola Scavulli di Pietro, Francesco di Gennaro Montano, Francesco Paolo Sarconi, Nicol’Antonio Galotti, Giuseppe Eggidio Giorgio, Mastro Carlo Carbone, Mastro Carlo Ruggiero, Mastro Domenico Ruggiero, Mastro Marco Ruggiero col suo figlio Nicol’Agostino, Pietro Potenza, Geronimo di Giuseppe Lombardi, Giovanni Battista di Domenico Genovese, Antonio Libonati di Armanto qui da circa un anno usurato (accasato) e commorante, Pasquale di Carlo Filippo, Giangiacomo Pizzicara, Carlo Eggidio Morelli, Carlo di Andrea Calabrese, e Carlo Casolaro, li quali tutti sedotti dal detto ex Alfiere Viggiani. Si fornirono della coccarda rossa rivoluzionaria uno dopo l’altro, organizzata così la rivoluzione del detto Viaggiano, costui armato, come l’intese si appartò da questa Terra col solo nominato Mastro Andrea Rago, senza sapersi ove portato si fusse. Questo fatto di Rivolta pose costernazione gli animi degli onesti Cittadini, li quali perciò d’intelligenza cogli Amministratori di questa Comune, e dalla Corte Locale risolsero implorare il soccorso del Generale Pignatelli, Comandante questa Provincia, e del Tribunale della medesima, nell’atto che per mancanza di forza ogni ben’intenzionato procurò di persuadere gli traviati coccardati, e rimetterli nel partito delle Leggi, e della primiera ubbidienza. E sul punto fu spedirsi per detta Matera il deputato Galantuomo don Giambattista Scelzi, altro paesano di esso Testimonio, si ebbe la venturosa notizia di trovarsi nella vicina Terra di Laurenzana la Colonna Mobile sotto il Comando del Sig. Maggiore Casella, che nel dì venti del detto luglio con sua lettera diretta a’ Galantuomini, Corte, ed Erario Marchesale, gli fè sentire di carcerarsi il Capo Massa Viaggiano, e suoi seguaci assicurando loro che che egli sarebbe qui piombato subito con una forza imponente per restituire a questa Padria il buon ordine, e la tranquillità. Come infatti quegli Galantuomini, ed altri onesti Cittadini incoraggiati da tale avviso prendeva le armi per sedare l’insurgenza, e carcerare tutti li predetti individui coccardati. Ma non potè seguire il loro arresto, perché tutti assenti da questa Padria, perché impiegati alla scogna delle vettovaglia, e solo si carcerarono due forestieri, cioè un tintore di cappelli di Bari, et un venditore d’impiastri, Calabrese, che giorni prima erano qui pervenuti, perché spargevano pubblicamente delle notizie allarmanti per far crescere la rivolta. La carcerazione seguita de’ suddetti due individui forestieri saputasi da’ coccardati individui Paesani, li fece forse entrare in timore di essere anch’essi nella stessa guisa carcerati, e quindi la maggior parte di essi montata in furore si unì, e si armò tutta di schioppi nell’istesso giorno de’ venti, e specialmente Prospero di Francesc’Antonio Bonadies col di lui figli Antonio, e Giuseppe Domenico, Antonio di Nicola Bonadies, Pasquale, e Paolo Bonadies, Lorenzo Giorgio, Nicola Scavullo, Francesco di Gennaro Montano, Francesco Paolo Sarconi, Nicol’Antonio Galotta, Mastro Carlo Carbone, Mastro Domenico Ruggiero, Mastro Marco Ruggiero, e Carlo Eggidio Morelli per quanto esso Testimonio intese, e seppe dalla gente di questa Padria, e passatosi così armati, ed riuniti avanti il Monistero di questi Padri Minori Osservanti, distante da questo abitato circa un tiro di schioppo, che domina questa Piazza, principiarono tutti a tirare circa sedici colpi di schioppettate a palle, dirigendoli contro i Galantuomini, ed onesti Cittadini, armati come sopra, per il buon ordine, che in quel punto si trovarono in Piazza senzacchè che però alcuno di essi fusse ferito. A queste fucilate, che spararono verso le ore ventitre del cennato giorno venti luglio, tutti gli armati onesti Cittadini atterriti si divisero, ed ogn’uno di essi pensò a salvarsi. E quindi gli armati individui insorgenti vedendo fugata la forza degli onesti, non fecero più fuoco, e si ritirarono in un luogo il più eminente vicino a questo abitato, nominato il Calvario, senza fare altro attentato. Stando essi così ivi postati verso un’ora di notte fortunatamente pervenne la Colonna del detto Sig. Maggiore Casella, ed in sentire il tocco del tamburo, che lo precedeva li ammutinati, ridetti armati individui suddetti si diedero immantinente alla fuga. Giunto qui il detto Sig. Casella nella seguente mattina de ventuno organizzò la Compagnia della Guardia Provinciale di questa Terra, creando in Capitano don Vincenzo Bonadies al quale diede le disposizioni necessarie dirette al buon ordine, e tranquillità del paese, e gli comunicò la facoltà di accordare il perdono a tutti li suddetti individui traviati, purchè deponendo le armi, e le coccarde ritornavano al partito delle Leggi, ed all’ubbidienza del Governo. Vari inviti quindi si fecero, e varie e continue informazioni tanto da esso Sig. Capitano Bonadies, quanto da tutto il ceto de’ Galantuomini, e da Preti, ma niuno de traviati si persuase sul timore, che fusse un inganno per carcerarli, si mantennero sempre in campagna senza commettere altro disordine. Verso le ore poi quattordici della mattina de Venerdì sottomedesimo luglio pervenne in questa Terra una comitiva d’insorgenti tutti armati di viggianesi, montemurresi, e montesanesi, accompagnati dai suddetti individui insorgenti di questa Padria i quali entrando nella medesima con i fucili impugnati sparsero il terrore a tutti i paesani e onesti Cittadini, e pretesero di porre in contribuzione questa cittadinanza per la chiesta somma di docati seicento, essendo essi di numero circa cento. Troppo umilianti furono le parti dei rappresentanti di questa Università per liberare la Padria dal fuoco, e dal sacco, che minacciavano, e finalmente a stenti si contentarono della promessa di docati cinquanta, se li compromise farne loro pagamento nel giorno seguente in Viaggiano, ed in mano del Capo della Massa che si fece chiamare col Soprannome di Bartoloni. Pendente l’ammonimento della transazione suddetta, la comitiva degli insorgenti forestieri principiò a far fuoco contro la casa del Cittadino Don Vincenzo Di Pietro, credendo che nella medesima forse esservi degli onesti Cittadini armati per far fuoco contro di loro. A questo fatto accorsero li suddetti concittadini Briganti di questo paese. Li quali col fucile alla mano impedirono, che gli insorgenti esteri avessero continuato a perturbare la casa de suddetto Signor Di Pietro, ed ogni altro cittadino, e si apposero a segno, che mal ottennero l’intento dopo varii colpi di fucilate che tiravano contro i briganti forastieri, li quali ricevutesi li suddetti ducati cento che a stento si ammonirono si contentarono della promessa di ricevere li restanti ducati cinquanta nel seguente giorno, come sopra si è detto ed immediatamente se partirono per la volta di Viggiano li soli briganti forestieri, restando in questo abitato l’indicati insorgenti Paesani, li quali senza molestare la cittadinanza si impiegarono dolo a girare il tenimento per mantenere lontana dal medesimo l’invasione de’ briganti forestieri, e così si mantennero sino al giorno sette del corrente agosto, in cui li Deputati da questa Comune Eletti che furono esso Testimonio, Don Vincenzo Scrillo, l’Arciprete don Pasquale Ruggiero, il Cantore don Domenico La Cava, don Giuseppe Domenico Zito, e don Vincenzo Ruggiero ritornati da Stigliano, ove si portarono a ritrovare il detto Sig.  Maggiore Casella dal quale ottennero l’assicurazione di non far molestare i traviati, la Padria, purchè li medesimi pentiti degli eccessi commessi deponevano le armi, e si levavano le coccarde, ritornando all’obbedienza del Governo, come essi traviati individui di sopra espressi in tutto adempirono, menocchè li detti Giambattista di Domenico Genovese, Antonio Libonati, Pasquale di Carlo Filippo, e Carlo Casolaro, i quali non vollero deporre la coccarda, né le armi, e si appartarono da questo tenimento, correndo voce di essersi uniti agli insorgenti di Viaggiano. E quindi nell’undici di detto agosto avendo il detto Sig. Casella ricevute le armi deposte dagli espressati Cittadini insorgenti, spedì dopo la presentazione de’ due ostaggi Sacerdote Don Giuseppe Domenico Zito, e Magnifico Geronimo Pellegrino una salva guardia perché non fusse a questa Comune molestato da qualunque forza armata, senza gli ordini del Comandante della Provincia Generale di Divisione Fregeville.

Il Notaro Giuseppe Maria De Turris ha deposto come sopra.

                                                                                         Dell’Osso Pres.

Nel processo vi sono le deposizioni di altri cittadini che depongono con giuramento e stilate con le motivazioni dello stesso tenore di cui sopra e che si omettono di riportare e sono: Vincenzo Bonadies; Don Luigi Leone che dice di essere Gentiluomo di età sua d’anni cinquantacinque in circa; Don Domenic’Angelo Cataldi dice di essere Dott. Fisico, di età sua d’anni trentacinque circa; Don Carlo De Mascellis, dice di essere Professore di Legge, di età sua d’anni quarantasette circa; Don Vincenzo Scrillo dice essere Dott. Di Legge, d’età sua d’anni trentacinque circa.
Prima di passare ad esaminare il contesto delle accuse e cercare di capire se effettivamente il Nostro abbia avuto quella parte importante nella reazione Borbonica, desideriamo riportare la deposizione a discarico del Viggiani.

Pag. n. 54 del fascicolo.

Matera 29 maggio 1807

Felice Viaggiano dice di essere di Tramutola commorante in Corleto d’età sua anni trenta, calzolaio di mestiere.
Domandato sulla sua carcerazione e motivi della medesima ha risposto: Signore, la mia professione era di calzolaio, e come da Tramutola mia Padria per occasione del matrimonio che avevo contratto con Maria Teresa Giorgio mi ero fissato in Corleto padria di detta mia moglie, così non dando in Corleto molto profitto l’arte di calzolaio mi determinai a pigliar servizio nel corpo de’ Fucilieri di Montagna nel quale fui aggregato negli ultimi mesi dell’anno 1798, ed a ciò mi determinò il desio che avevo di procurarmi onoratamente un tozzo di pane per me e per la mia famiglia coll’arte propria e col mestiere dell’armi. Sopravvennero i troppo noti cambiamenti del 1799. Proclamatosi la Repubblica, io mi portai a Tramutola mia Padria, ove mi ascrissi a quella Civica. Seguita la Controrivoluzione, io me ne stiedi in casa mia per fatti miei senza intrigarmi. Presosi Napoli dal Cardinale Ruffo stimai portarmi in Napoli per essere riempiegato nel corpo de’  Fucilieri, al quale fui restituito, e con una partita di quarantanove fucilieri fui spedito presso il Magg. Sig. Ludovici nelle Puglie, ove feci il mio servizio con tanta esattezza ed onore che meritai dal suddetto Maggior Ludovici una commendizia tanto efficace presso la Corte di quel tempo, che ne fui fatto Alfiere nelle Milizie provinciali. Mi ritirai dunque a casa mia a Tramutola nel 1800. Subito che ebbi la patente di Alfiere; ma essendosi nello Stato organizzati i Reggimenti Provinciali, fui io destinato a Comandare la prima Compagnia de’ Fucilieri del Regg. 3° Matera di residenza in Corleto. Trovandomi dunque in Corleto a comandare questa partita fui al caso ed al dovere d’impiegare tutta la mia autorità per distruggere una comitiva di sette ladri, i quali sotto il capo Giuseppe Antonio La Vecchia infestavano quel Circondario, e mi riuscì di arrestare tutti i sette, lacchè mi procurò in Corleto la indignazione de’ loro parenti ed amici, che non sono pochi, giacchè sei di essi ladri erano naturali di Corleto, ed il di loro capo La Vecchia fu da me arrestato in casa di Notar Don Giuseppe Maria De Turris, ove stava nascosto e con cui era compare; e questo Notar De Turris fin d’allora mi minacciò che sarebbe venuto il tempo di vendicarsi di me per aver arrestato in sua casa il di lui compare.
Continuai tale mio servizio Militare fino a che non entrarono in Regno le armi francesi, appena entrate le quali, io mi tolsi da dosso l’uniforme che portavo, e la feci guastare e ridurla a giacca dal sartore Mastro Sebastiano Casale di Laurenzana commorante in Corleto. Mi restò un (tirappotto?) cinerino, de quale mi servivo per  casa non avendo maniera di farmene un altro. Frattanto io cercai di entrare al servizio militare e ne scrissi fortemente in Napoli all’Agente del Duca Riario, al quale acclusi mia supplica a S.M. per ammettermi a servizio nella sua armata e nel mese di aprile di questo anno esso cagnante mi rispose di farla pervenire alla M.S. come si potrà rilevare dall’originale di cui riporta, che farò presentare a questo –Tribunale. Attendendo io d’essermi fatta la supplica che avevo chiesta come il mese di luglio tirandomi un giorno a casa osservai per le strade di Corleto due uomini insigniti di nocca rossa al cappello, uno de’ quali conobbi essere Nicola Antonio Galotti figlio di Notar Galotti; ed essendomi incontrato con una donna, che non conoscevo le domandai cosa era questa novità, ella mi rispose esser venuto dallo Spinoso Giuseppe-Eggidio Giorgio di Corleto, e aver detto che allo Spinoso era arrivata una quantità d’insorgenti a quel notizia i naturali di Corleto si univano coccardando alla borbonica. Io risposi a questa donna essere ben pazzi coloro che potevano sognar di pigliar piede l’insorgenza, e che non si fusse creduto a tali notizie all’armanti. Mi ritirai a casa mia, ed avendo osservato per due giorni che andava crescendo di numero de’ moccardati rossi, ed avendo udito che si attendevano gl’insurgenti di Viaggiano pe inalberare bandiera bianca, io stimai di abbandonar Corleto, ed andai a nascondermi nella mia Padria di Tramutola, perché in Corleto temevo de’ parenti e degli amici de’ sette ladri, che avevo carcerato, subito però che intesi sedato il fermento di Corleto, e de’ Paesi convicini raggiunsi colà la mia famiglia, che era ivi restata; e dopo quattordici o quindici giorni di questo mio ritiro la mattina de’ 26 Agosto dell’anno prossimo scorso fui in casa mia arrestato dall’Intendente di quella Legione Don Giovanni Battista Scelzi, e tradotto in quel carcere, donde circa un mese dopo fui condotto nelle forze di questa Città. E questa è la storia dolorosa delle mie disgrazie, alle quali devo aggiungere che i miei nemici di Corleto cercarono di farmi morire in quel carcere, ove mi furono tirate quattro fucilate, le quali per misericordia di Dio non presero fuoco. E così ha deposto ed ha sottoscritto.

                                                     Io Felice Viggiani ho deposto come sopra
                                                                                         Parisio

Addì 31 maggio 1807
Al Procuratore Regio cogli Atti
De Fabritiis Pres.


Dopo queste due toccanti deposizioni rese al Tribunale, una di accusa e l’altra di difesa e che dalle quali si percepisce il clima del periodo storico, sarebbe superfluo continuare il commento. Ma purtroppo il Viggiani era noto sia al Generale Pignatelli che al Maggiore Casella, anche se non lo conoscevano di persona; era noto a loro che egli ne era il capo e l’ispiratore delle reazioni insorgenti antifrancesi in Corleto e nella Valle dell’Agri, anche se non vi partecipava di persona.
Solo dopo l’orribile eccidio di oltre cento cittadini di Viaggiano e conseguente sacco perpetrato dalle truppe francesi non solo a Viggiano ma anche in altri paesi, a danno soprattutto delle case più ricche, il Viggiani, comprese di aver perso la battaglia della reazione, ed inseguito dalle truppe del Maggiore Casella si rifugiò nella sua casa di Corleto con la segreta speranza di usufruire della promessa di indulto fatta precedentemente dal Casella.
In Corleto si fece arrestare e rinchiudere nelle carceri Baronali ma dopo circa un mese proprio per la sua pericolosa condizione di Capo Massa fu trasferito nel carcere di Matera, dove subì un attentato da parte di alcuni detenuti che egli stesso aveva fatto carcerare. Si ridusse in uno stato pietoso tanto da indurre la moglie e sua madre a produrre alcune suppliche al Presidente del Tribunale di Basilicata.
Riportiamo un brano della supplica della moglie: “…Eccellenza chi non vede la situazione tanto del suddetto buon marito, quanto di tant’altri colà racchiusi, non può crederlo. Il luogo è angusto, V.E. il vidde, gli infermi sono pressati tutti, senza comodi, sdraiati al suolo, visitati per cancello in vario di serva disperati, il fango accompagna un fedito grave, ed irrespirabile, perché il cancello li devono tenere aperti dall’una parte, e dall’altra; insomma gli si nega ogni refrigerio nell’atto che han bisogno di tutto. L’infelice supplicante lontana esentarsi dalla sua Padria con (alcuno al petto?), con due figli nella Padria lasciati a discrezione altrui, deve guardare certe volte dal Corpo di Guardia, e certe volte per la durezza dei custodi da fuori del cancello il suo marito che languisce d’infermità pericolosa”. (contrasse il morbo del colera).
In seguito fu disposta una visita da parte del medico fiscale il quale dette parere favorevole al trasferimento in un altro ambiente più salubre. Infatti gli fu concesso il permesso vigilato di abitare presso la casa di un conoscente di Matera, sotto la sorveglianza di due guardie. Il permesso durò poco e ritornò in carcere nonostante le suppliche della madre e forse anche di qualche influente cittadino di Corleto. Questo si evince da un attestato del Comune di Corleto e da una lettera dell’Intendente di Basilicata che si riporta.










Pag. n. 34 del fascicolo

                                                                                Potenza 15 Aprile 1807

L’Intendente della Basilicata
          Al Sig. Presidente del Tribunale Straordinario della stessa, e delle due Calabrie

Sig. Presidente

S.E. il Ministro della Polizia Generale, nel rimettermi la memoria della Vedova Vittoria Mercadante di Tramutola, colla quale implora la libertà di suo figlio Felice Viaggiano detenuto, per raggiri de’ suoi nemici, parte de’ quali han fatto da Accusatori, e parte da Testimoni, m’incarica d’informarmi sul conto di detto individuo.
Vi prego dunque Sig. Presidente di denotarmi al più presto possibile i carichi, che il medesimo porta presso cotesto Tribunale Straordinario, per poterne dare ragguaglio al prelodato Sig. Ministro.
Ho l’onore di salutarvi con distinta stima, e considerazione. 

                                                               In assenza dell’Intendente
                                                                 Il Segretario Generale
                                                                               Frageville

Ricapitolando Felice Viggiani fu carcerato perché ritenuto un insorgente pericoloso, un Capo Massa capace di trascinare gli uomini ad armarsi per combattere per un ideale: la disubbidienza all’ordine costituito e l’invasione dello straniero[25].
Accanto a questa figura di eroe patriottico, c’è anche la figura dell’uomo che dignitosamente cerca di salvare la sua vita per il bene della sua famiglia.
Egli stesso rivolse infatti numerose suppliche al Re ed agli organi competenti, nelle quali si protestava innocente o comunque di non aver commesso tutte quelle azioni di guerriglia imputatagli da numerosi cittadini ed anche da rapporti delle autorità di polizia. Inoltre affermò di non conoscere lo Stoduto del Lagonegrese, i Di Mauro di Sarconi, L’alfiere Micucci suo amico e tanti altri che poi divennero Briganti.
Comunque riuscì a sopravvivere a tutte queste avversità, e solo nei primi mesi del 1808 venne scarcerato usufruendo dell’indulto che il Governo Napoleonico accordò a quelle persone che avevano ostacolato nel Regno l’avvento delle Armi Francesi.
Si deve anche fare un’altra considerazione, egli certamente fu aiutato da molte famiglie, allora influenti nei gangli delle varie Amministrazioni, esse erano certamente di Tramutola ma anche di Corleto. Da come si esprimono la mamma, la moglie e lo stesso Felice, si percepisce che non è “farina del loro sacco” in quanto non crediamo che erano persone addottorate nelle lettere e quindi si capisce che venivano consigliate e guidate da persone competenti e altolocate.
Queste notizie sono state ricavate dai fascicoli che si conservano nell’Archivio di Stato di Potenza e da pubblicazioni di Illustrissimi scrittori di storia patria di Basilicata. In appendice a questo capitolo si pubblicano altre pagine del suddetto fascicolo del Processo istruito a carico del Viggiani, che si conserva nell’Archivio di Stato di Potenza.






























































































[1] A fine di questa Prefazione si potrà leggere l’Albero genealogico di questa cospicua famiglia di Tramutola. L’albero genealogico mi è stato fornito dall’ultimo discendente  dei Favella con il titolo di Conte:  Architetto Sig. Giuseppe Favella residente a Napoli.
[2] Si ringrazia il Sig. Geom. Settimio Di Pierri per avercelo fornito in fotocopia.
[3] Questa relazione, ora riveduta con l’aggiunta di note e documenti, fu consegnata al Sig. Dott. Pantone  nel 1994 per l’UNITRE di Moliterno.
[4] Certamente le muraglie furono visitate dal Nostro concittadino Andrea Lombardi, ma chi per primo mise “nero su bianco”, fu il Sig. Patroni Giuseppe in “Notizie sugli scavi di antichità “ – Aprile-Giugno 1897, il quale così scrisse: “Non lungi da Tramutola, in contrada Castelli (un cocuzzolo dominante un profondo burrone situato a Nord-Ovest, a cui si accede da una specie di sella), riconobbi una cinta Pelasgica trovata dal Sig. Di Cicco, della quale diamo ora la notizia noi per la la prima volta. E’ costruita con blocchi non molto grossi, attualmente poco sporgenti dal suolo boscoso; il muro è largo 5 metri, compreso il riempimento interno di pezzi minori e di ciottoli. All’interno di questa cinta, si vedono tracce di altre mura a secco, fatte con massi molto piccoli ed irregolari. Non si vede alcuna emergenza speciale che accenni ad acropoli. Al di fuori della cinta è una casetta costruita con muretti a secco, molto analoghi agli antichi, ma probabilmente fatta in tempi recenti con materiale tolto alle mura antiche. Mantiene tutta la pianta e raggiunge un metro di elevazione dal suolo”.
[5] A. LOMBARDI: “La strada che da Venosa per Potenza dirigevasi a Grumento, proseguiva il suo cammino verso Nerulum. Essa doveva correre per luoghi montuosi, ma non privi di abitatori; ciò nonostante nell’Itinerario di Antonino non si fa parola che della stazione detta Semuncla, alla quale i moderni geografi hanno sostituito ad Semnun ossia ad Sirim. Non pare che la detta strada attraversasse il Siri presso la sua sorgente, come si è opinato dal Romanelli, poiché in questo caso non verso Nerulo direttamente, ma verso Lauria sarebbe corsa.
Sembra anzi più possibile, che passasse il Siri nel punto ove le acque del torrente Cogliandrino mettono in quel fiume, o quivi dappresso, non solo perché questa è la linea naturale del cammino che da Grumento per le campagne di Moliterno e di Latronico porta alla odierna Rotonda, ove generalmente vien riposto Nerulo, ma anche perché a poca distanza dall’indicato punto giace Agromonte, contrada fertile in anticaglie e dove certamente doveva elevarsi una città di qualche importanza”. (La Corona di Critonio – Viaggio tra Antiche città in Lucania – 1830).
[6] Ibidem: Incontransi frequenti ruderi e rottami antichi in tutta la valle di Marsiconuovo, nella cui estremità meridionale era situata Grumento, ma che per la loro non indifferente distanza non potevano a quella città appartenere. Tra gl’indicati ruderi meritano particolare menzione quelli che si scorgono presso Marsicovetere, ove da alcuni scrittori patrii sopra deboli concetture si è voluto riporre Vertina, e dove il chiarissimo Accademico erculanese Giacomo Castelli si era avvisato di collocare i Campi Veteres, con maggiore probabilità da altri situati in Vietri di Potenza, come si è detto di sopra. Sono degni di  essere ricordati i rottami che si veggono nella strada detta Serra della Chiesa presso Tramutola, ove nel 1794 numerosi sepolcri furono disseppelliti con immensa quantità di tegoli, mattoni, armi, bronzi, lacrimali ed altri antichi oggetti”.
[7] A dir del Prof. Bonsera, altri non erano che le orde saracene che distrussero anche Grumentum, e i serpenti, sempre loro che viscidamente depredavano le misere popolazioni.
[8] LA PADULA:Tramutola  Storia e attualità. Edizioni META. Matera/ ottobre 1976.
[9] Ibidem B. LAPADULA: CAP. 7°
[10] Ibidem LA PADULA. Santino G. BONSERA, Remo ORIOLO, Giuseppe TROCCOLI – Tramutola – Note e ricerche storiche. Padri dottrinari – Salerno – 1993.
[11] G. DE BLASIS – Le giustizie eseguite in Napoli al tempo dei tumulti di Masaniello – Arnaldo Forni Editori.
[12] Per meglio sintetizzare  l’importanza storica di questa famiglia nella vita economica e sociale di Tramutola, riportiamo un attestato di molti cittadini di Tramutola a discarico delle colpe della Corte Baronale: “In dei nomine Amen. Oggi, che sono li undici Aprile mille settecento sessantacinque, indizione 13° Tramutolae = Regnante F.do = e con tre lumi per essere mezzora di notte incirca. =
Costituiti personalmente in nostra presenza Roccantonio Orlando, Carlo Di Fuccia, Pascale De Nictolis, Paulo Troccolo, Michelangelo Tavolaro, Carlo Tavolaro, Tomase Mazziotta, Giovanni Orlando, Niccolò Marotta, Benedetto Troccolo, Niccolò Murena, Francescantonio Mazziotta, Michele Orlando, Carlo Maggio, Alessandro Lanziano, Antonio Lauria, Niccolò Farina, Donato Lavieri, e Simone Troccoli tutti di questa suddetta Terra, li quali spontaneamente = ci hanno asserito, qualmente don Domenico Marotta è nipote del Sig. don Michele Favella, come figlio della fu donna Caterina Favella sorella del medesimo don Michele, il dott. Don Ludovico Di Pierri e don Carlo Di Pierri anche sono nipoti carnali del detto don Michele, come figli della medesima don Agnese Falvella sorella del medesimo; il dott. Fisico Michele De Nictolis anche è nipote del medesimo sig. Falvella, come marito della Magnifica Mariangela Di Pierri, figlia della detta fù don Agnese. Il dott. Cerusico Francescantonio Mazziotta è fratello cugino di detto Sig. Falvella, come figlio della fù Magnifica Anna Falvella, sorella del Sig. Notaio Rocco Falvella padre di detto  don Michele. Il Sig. don Costanzo Marotta ordinario avvocato della Casa di detto Sig. Falvella. Il dott. Don Costantino Guarini è congiunto, come figlio di Partemia Di Pierri, che fù figlia di Carlo Di Pierri cugino di detto Notare Rocco, ch’è amico stretto del detto Sig, Falvella. Il dott. Gerardo Marino anche è stretto confidente per essere protetto dal medesimo Sig. Falvella in tutte le sue occorrenze, ed inquisizioni. Il Rev. Don Michele Marotta è Cappellano del Sig. Falvella per celebrare nell’altare di S. Maria del Carmine. Don Giovanni Battista Panella fa scuola alle figlie di detto Sig, Falvella. Don Gerardo Molinari è debitore di esso Sig. Falvella. Don Niccolò, e Massimiano Lavieri sono affittatori della Taverna d’esso Sig. don Michele. Isidoro Pericolo, e figlio sono esattori di detto Sig. Falvella. Niccolò Di Pierri è debitore, ed agrimensore di detto Sig. Falvella. Domenico Coiro stà per pratico alla Spezieria di detto Sig. Falvella, dove è Speziale il Dott. Sig. Francescantonio Mazziotta. Don Pascale Pascariello e Giuseppe Mazzeo, e Pietro De Nictolis sono intrincesi della Casa di detto Sig. Falvella, facendo il detto Nictolis anche da esattore il medesimo Antonio Pericolo è socio nel negozio delle Seti con detto Sig. Falvella. Li Magnifici del Governo vengono regolati, e protetti dal medesimo Sig. Falvella, perché li medesimi pro-tempore vengono eletti a tutta devozione dell’istesso Sig. Falvella per tenere lo suggello in Casa propria, e ne dispone, come li piace, e si fa fare quelli attestati che vuole. Mastro Paolo Jacovino è confidente e fù l’anno scorso eletto Sindaco, e viene dal medesimo Sig. Falvella protetto. Infine il detto Sig. Falvella è persona prepotente in questa sua Terra, e si fa fare, così dall’Università, come da persone private tutte quelle scritture che vuole e desidera, siccome detti Costituiti costà, e così hanno attestato, e giurato”.
[13] Secondo i canoni Rivoluzionari dell’epoca, l’albero della libertà era costituito da un tronco di pioppo più o meno alto. Tale pianta fu scelta perché la sua etimologia deriva dal latino, significando “populos”. Veniva piantato generalmente in Piazza addobbandolo con strisce tricolori: bianco, rosso e verde. Sulla punta si poneva un berretto alla francese con una coccarda anche essa tricolore; vi si appendevano anche delle scritte: “Tremate Tiranni, tremate o perfidi” e altrove con la scritta francese “Libertè, Legalite, Fraternite”. Il popolo danzava intorno con canti e suoni e si celebravano anche dei matrimoni; inoltre si bruciavano le carte antiche di possessi feudali. La tradizione vuole che in un paese della Calabria, ancora esiste in una piazza un gigantesco olmo che sarebbe stato piantato nel 1799 in occasione della Repubblica Partenopea. A Lauria  l’Albero della libertà fu al centro di diatribe tra i fautori rivoluzionari liberali e i conservatori. Il Beato Lentini seppe placare gli animi col suggerire di piantare una croce al posto dell’albero perché il simbolo della Croce rappresentava un “albero di riscatto e della salute”, così riuscì a sopire gli animi esacerbati dagli avvenimenti tumultuosi.
[14] Per tutti: T. PEDIO – La Basilicata  borbonica.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem
[17] Remo ORIOLO - La Chiesa Madre SS. Trinità di Tramutola 1166-1995.
[18] Le parole in grassetto sono state volontariamente evidenziate per dare maggiore rilievo a quanto discorso nel presente lavoro.
[19] Riportiamo una piccola frase del famoso proclama di Napoleone Bonaparte, prodotto qualche anno prima del 1799: “Voi siete nudi e affamati… Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Vi troverete gloria, onore, ricchezza…”  
[20] In un memoriale del 1799, tratto dagli Atti Notarili del Notaio Vita  (A.S.P.) si conoscono almeno i promotori della piantagione dell’albero della libertà: Francesco Troccolo, Antonio Laviero, Filippo Vignati, ed altri hanno fatto un attestato =In nomine Domini= Oggi li quattro febraro mille settecento novanta nove, seconda indizione, Tramutola =Regnante= In presenza nostra personalmente costituiti Francesco Truoccolo, Antonio Laviero, Filippo Vignati, Saverio Cavallo, Giuseppe Cesareo, Nicola Truoccolo, Michele Tavolato = Giuseppe Aulicino, Filippo di Roma, Pasquale Gargano, Vito Lascaleia, Gerardo Ragone, e Tommaso Tudisco, tutti di questa terra di Tramutola li quali con giuramento anno asserito, qualmente ieri tre del corrente a’ contrasto ed insinuazione  del cittadino Domenico Marotta, e verso l’ore ventidue dal Cittadino Gennaro Calvello, Saverio Cavallo, Francesco Greco si piantò l’albore della libertà in questa Terra di Tramutola, e proprio nella pubblica Piazza con applauso e concorso di tutto il Populo, perché prima di tale tempo, non era stato da nessuno piantato in detta Terra, ma si aveva cognizione di tanto, e ciò lo deponiamo come testimoni de viso al fatto sudetto, è questa è la verità= Seguono le firme del Giudice a Contratti Pasquale Russo, Luiggi Marino, Felice Marino Berardino Guarino.
[21] Gerardo Curcio di Polla, noto per le sue sanguinarie doti di brigante.
[22] Negli anni successivi risulta Tenente della Milizia Cittadina).
[23] Pagina n. 58 del fascicolo = Napoli 5 Aprile 1806 = Gentilissimo Sig. Don Felice, Ho ricevuto la grata Vostra de’ 19 Marzo scorso con attrasso, ed ho rinvenuto in essa la supplica per Sua Altezza con la quale dimandate servizio ne’ Reggimenti Nazionali, alla quale non mancherò dar corso facendole anche accompagnarci dall’informo di una degnante Persona ma non saprei augurarmi un esito felice dacchè l’attuale Governo non vede di buon occhio le Persone che hanno servito il Governo passato dal 99 in poi, ed io non saprei come ciò occultare e avere vantaggio; del resto io non mancherò di fare le parti opportune, essendomi già da tempo dimenticato il vostro passato. E disposto sempre a servire mi raffermo.
[24] Società di Storia Patria per la Puglia – T. PEDIO: Dizionario dei Patrioti Lucani, Vol. V, Bari 1990.
    E dello stesso autore, Brigantaggio Meridionale, 1987, Indice dei nomi, pag. 154.
[25] La nobiltà del carattere deriva dal fatto innanzi narrato, in quando i cittadini coccardati di Corleto, senza alcun dubbio faceva parte il Viggiani, misero in fuga i rivoltosi giunti da Viggiano e dai paesi limitrofi con l’intento di mettere a ferro e fuoco le ricche famiglie di Corleto, con la pretenzione di esigere del denaro. Questo fatto è significativo per mettere a fuoco, ripeto, la onesta figura dell’uomo e del militare: Felice Viggiani.

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